mercoledì 16 settembre 2009

KENAVO

E’ arrivato anche il momento degli addii, che proprio in quanto tali, sono sempre un po’ struggenti.
Gli ultimi giorni sono scorsi frenetici, rincorrendo luoghi da imprimere nella memoria e rincorsi da amici che avevano le ultime idee da comunicare.
Il tempo si è preparato a dovere: cielo tempestoso, vento che accompagna ogni nostra azione con le sue raffiche, mare burrascoso. Insomma il mio tempo preferito. Uno spettacolo che starei ad osservare per intere giornate.
C’è chi dice che la Bretagna è un luogo triste, che la musica bretone è drammatica, che i bretoni sono persone cupe. Secondo me chi dice questo non ha capito niente della Bretagna.
La Bretagna è una terra tormentata perché è stata invasa dai missionari di una grande religione con l’intento di distruggere la sua anima e la sua identità. Ma nonostante questa repressione, che con altri modi meno evidenti continua tuttora, questa è una terra viva e i suoi abitanti sono persone vere, ironiche fino allo humour nero, rudi e schiette. Gente riservata, che non si piange addosso e che non fa nulla per compiacerti. Gente non di maniera.
C’è una canzone bretone di anonimo, ripresa dai Try Yann, che dice:
“Suis-je même breton???... Vraiment, je le crois… Mais de pur race. Séparatiste? Autonomiste? Régionaliste ? Oui et non... Différent...
La Bretagne n'a pas de papiers, Elle n'existe que si à chaque génération des hommes se reconnaissent bretons... A cette heure, des enfants naissent en Bretagne... Seront-ils bretons? Nul ne le sait... A chacun, l'âge venu, la découverte... ou l'ignorance!”
“Sono Bretone? Lo credo veramente! Di razza pura. Separatista? Autonomista? Regionalista? Sì e no: Diverso.
La Bretagna non esiste sulla carta. Esiste solo se in ogni generazione degli uomini si riconoscono Bretoni… In questo momento in Bretagna stanno nascendo dei bambini… saranno Bretoni? Nessuno lo sa. Per ognuno, quando sarà il momento, sarà la scoperta… o l’ignoranza”.
Credo che in questi versi ci sia tutto il dramma di un popolo che mantiene faticosamente la sua identità, molti forse non sapendo nemmeno fino in fondo che cosa significhi.
E’ il dramma di tutti i popoli autoctoni invasi, lo stesso dramma che vive chi si rende conto di essere in fondo all’anima profondamente diverso dalla cultura dominante. Chi crede in valori come libertà e fratellanza e si appaga del contatto con la natura. E si rende anche conto che purtroppo non può manifestare la sua anima fino in fondo. Qui in Bretagna assistiamo anno dopo anno alla violenza e alla profanazione a cui vengono sottoposti i luoghi sacri tradizionali. La stessa cosa avviene a casa nostra, dove i luoghi megalitici vengono distrutti e non c’è neppure il tentativo di salvaguardarne l’aspetto storico e archeologico. Nella nostra lotta a fianco di Menhirs Libres abbiamo cercato di dare la massima visibilità ad un caso che finchè rimaneva in un ambito regionale non aveva nessuna chance di vittoria. Molti segnali positivi ci fanno capire che forse i nostri sforzi non sono stati vani: le griglie ci sono ancora ma sono state abbassate di 20 cm. Ampie zone del sito megalitico vengono aperte e lasciate libere per i mesi invernali. Segnali che fanno supporre che qualcosa finalmente stia davvero accadendo. I nostri amici di Menhirs Libres sono tutti concordi nell’affermare che il nostro incontro ha avuto un ruolo importantissimo in questa vicenda.
Ma la battaglia non è ancora vinta, e i nostri amici, un movimento composto da anziani, giovani, tranquille e pacifiche famigliole che vorrebbero solo farsi la loro vita in santa pace, sono ben lungi dal rilassarsi.
La musica bretone esprime molto bene l’anima guerresca di questo popolo. E’ una musica che anche quando è frenetica esprime una struggente interiorità insieme ad una velata minaccia. Una sorta di dichiarazione di guerra che io traduco così: “Non intralciate la nostra libertà. Siamo idealisti e ce ne vantiamo. Abbiamo un sogno e lo realizzeremo, e guai a chi cercherà di ostacolarci”.
E’ il manifesto che si intuisce nella musica tribale di ogni continente, quella dei Nativi veri, non contaminati dalle verità rivelate. Che hanno l’unico torto di chiedere che la loro identità e le loro tradizioni vengano rispettatate.
Continuo fino all’ultimo il mio reportage su questo viaggio denso di significati. Cerco di esprimere, con le parole e con le immagini, quello che mi è stato trasmesso.
Il vento segue i miei passi mentre cammino ancora una volta sulla spiaggia deserta e assisto all’eterno e sorprendente fenomeno della ciclicità delle stagioni. Mi chiedo se riuscirò, nel tempo che mi rimane da vivere, a vedere i prodromi di un mondo migliore, dove ognuno possa esprimere la sua libertà in armonia con tutti gli altri. Dove le specie più deboli non vengano sottomesse e brutalizzate. Dove i luoghi sacri siano rispettati.
E mi rispondo che sì, i prodromi ci sono già fin da ora. Fintanto che ci sarà anche un solo essere, uomo, donna, animale, che si stupirà di fronte al miracolo dell’esistenza, la speranza non morirà.

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