domenica 17 agosto 2014

I Popoli di Madre Terra


Come ogni anno mi sono “tuffata” in un mondo invisibile, l’ "isola che non c’è”, e come sempre, tornando a casa, mi sono chiesta come sia possibile che questa realtà venga trascurata, nascosta, non considerata.  
Partecipavo con Giancarlo alla sessione annuale dell’Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples dell’ONU di Ginevra, eravamo lì in veste di delegati  di sei comunità indigene di tutto il pianeta per difendere le loro tradizioni e i loro luoghi sacri. Un impegno preso molti anni fa, riconoscendoci nei loro diritti e nella consapevolezza di una comune identità. Con noi c’erano i nostri compagni di avventura, Luca e Gianluca, staff ormai consolidato che vive con noi le stesse passioni, non solo musicali. 
Una full immersion tra le comunità native ha il potere di risvegliare la speranza che il mondo possa davvero cambiare. Assistere alle discussioni su come rendere pratica la Carta dei Diritti, quei diritti fondamentali che dovrebbero essere il minimo standard riconosciuto a chiunque, ascoltare le esperienze personali di chi è stato sottoposto a violenze e abusi, nemmeno tanto tempo fa, e nello stesso tempo vedere con quanta dignità, consapevolezza e armonia tutti questi problemi vengono affrontati... è decisamente un’esperienza non comune.
Così come è un’esperienza non comune vedere in tutte queste comunità, così diverse, così lontane per luogo geografico e appartenenza culturale, spesso con lingue incomprensibili, una sintonia che permette di intendersi sulle cose fondamentali, come il rapporto con Madre Terra e il riferimento spirituale nella Natura.

Avendo a che fare con queste comunità appare lampante il motivo per cui le grandi religioni e la società maggioritaria hanno cercato di annientarle. E’ un confronto in cui la società maggioritaria ne esce inevitabilmente perdente. E’ un pericolo destabilizzante, perchè mostra l’esempio di una società basata su libertà, armonia, spiritualità senza dogmi. Quando non è riuscita ad annientarle, la società maggioritaria ha cercato di assimilarle, riuscendoci solo in parte. Le nefandezze compiute ai danni dai Nativi sono molteplici e indubbiamente hanno richiesto una gran dose di genialità, pur se sembra partorita da menti malate. L’apice è stato raggiunto con l’operazione che ha cambiato nome a seconda dei continenti ma in sostanza sembra sia scaturita da una forma mentis comune. In Australia l’hanno chiamata la “stolen generation”, generazione rubata. Migliaia di bambini rubati alle loro famiglie per eliminare il Nativo che era in loro. In Canada invece, in un recente studio emerge che almeno 100.000 bambini nativi americani sono stati uccisi nelle apposite "scuole residenziali", di cui due terzi erano gestite da suore e preti cattolici. Secondo le testimonianze di alcuni sopravvissuti, risulta che i bambini venivano volontariamente infettati con malattie mortali, sterilizzati, forniti agli ospedali come cavie per esperimenti "scientifici", stuprati, venduti ai pedofili, torturati atrocemente, picchiati a morte, assassinati in varie maniere, sottoposti ad ogni forma di violenza psicologica e fisica. Nel migliore dei casi, questi bambini venivano privati delle loro famiglie, puniti se parlavano la loro lingua e se praticavano le loro tradizioni, usati come schiavi. Tristemente famoso il motto dei colonizzatori su territorio americano: “kill the indian, save the man”. Una situazione che si è protratta per oltre un secolo ed è proseguita fino al 1990.
Eppure, nonostante quello che i Nativi hanno subìto dai colonizzatori, in loro traspare un’armonia, una pace invidiabile, ma anche una determinazione nel far valere i propri diritti.
E’ in atto un processo di “riconciliazione” che ha lo scopo di aprire un dialogo tra i governi e i Popoli indigeni, facendo finalmente emergere le responsabilità degli Stati circa i soprusi del passato allo scopo di trovare una via di uscita da posizioni apparentemente inconciliabili, e soprattutto di intraprendere un dialogo. Ora i governi chiedono scusa ai Nativi, come l’Australia che ha instaurato il “Sorry Day”, ma questo agli indigeni ovviamente non è sufficiente. La Truth and Reconciliation Commission del Canada stimola gli aborigeni a farsi avanti, a testimoniare le violenze subite, a uscire allo scoperto. Il suo motto è: “La verità sulle nostre comuni esperienze aiuterà a liberare i nostri spiriti e aprirà la via per la riconciliazione.”
Gli Indigenous Peoples hanno molto chiara la responsabilità della Discovery Doctrine nei confronti dei torti che hanno subìto, tanto da dedicare ad essa, nel 2012, un intero Forum all’ONU di New York in cui è stato chiesto al Vaticano di abolire la famigerata bolla papale che permetteva ai coloni, per diritto divino, di impossessarsi delle terer scoperte con tutto quanto c’era sopra, Nativi compresi. Abolizione che non è mai avvenuta, nemmeno come gesto simbolico.
Eppure il genocidio dei Popoli indigeni è considerato evidentemente un fatto trascurabile dai libri di storia e dai mass media. Su Wikipedia alla voce "Genocidio" troviamo le stragi compiute dai nazisti in Europa e dai comunisti in varie parti del mondo. Nessun accenno allo sterminio degli Nativi americani, 97% della popolazione dal 1500 alla fine del 1800. Nessu accenno al genocidio canadese né a quello degli aborigeni australiani e neo-zelandesi ad opera degli inglesi che dal 1700 al 1928 ha decimato oltre il 90% della popolazione. Evidentemente, questi sono genocidi di serie B. Nemmeno a questo riconoscimento hanno diritti i Popoli indigeni.
I danni della Discovery Doctrine non sono evidenti solo nei Nativi di altri continenti: si sono manifestati anche in Europa. Le “prove generali” di genocidio delle culture autoctone sono avvenute molti secoli prima delle colonizzazioni degli altri continenti. E sono state fatte proprio in Europa, ai danni dei cosiddetti “pagani” che popolavano i nostri territori. I popoli autoctoni dell’Europa, i Nativi Europei, sono stati privati della loro cultura e delle loro tradizioni. Culture pacifiche che sono state colonizzate, assorbite e distrutte prima dall’Impero romano e poi dal Cristianesimo. Queste culture sono state per la maggior parte distrutte, ma non del tutto. Molte comunità autoctone continuano discretamente a portare avanti le loro tradizioni, ancorché nel silenzio, nell’intento di preservarle. 
La sessione si è conclusa con un rito Nativo americano molto toccante, poi è stata la volta degli abbracci e degli scambi di contatti, come sempre. Come sempre, ogni delegato sapeva che sarebbe tornato alla sua Comunità arricchito, colmo di esperienze, di notizie e informazioni utili.
C’è sempre una vena di malinconia nel lasciare un ambito che è stata occasione di incontri planetari, tra comunità che, senza quell’occasione, probabilmente non avrebbero neppure saputo dell’esistenza gli uni degli altri. Eppure ogni volta la speranza è più forte e diventa sempre più concreta. I Popoli Nativi rappresentano l’unica vera speranza in questo mondo malato, in questa umanità divisa da guerre di religione. La speranza di un mondo migliore, basato sull’armonia, sulla libertà, sulla conoscenza. Nel riferimento all’unica vera nostra maestra: Madre Terra.

domenica 10 agosto 2014

Witch Dance

“Every time
that two or more Shana
reunite in a circle
around of a heated Siv'Nul
Shan is present among them
Every time
that two or more Shana
reunite in a circle
they may ask whatever
for them and humanity”


Questo mantra, continuamente ripetuto nella canzone del LabGraal “Witch Dance”, è un’antica evocazione magica dello sciamanesimo druidico arcaico. Un rito magico che secondo il mito vuole significare il potere che l’uomo può avere sugli elementi naturali, a patto che li usi a scopo benevolo.
“Ogni volta che due o più Shana si riuniscono davanti ad un Siv'nul acceso, lo Shan è presente tra di loro, ed essi possono chiedere qualsiasi cosa per il benessere dell'umanità”.
Il mito si riferisce a un’era arcaica in cui i membri dell’antico popolo Shan usavano accendere ritualmente un candeliere a tre braccia (il Siv’Nul) come rito propiziatorio.
Questa litania ci ha accompagnato per tre giorni durante le riprese del videoclip di Witch Dance, giorni pieni, faticosi e indimenticabili, in cui abbiamo girato per 15 ore giornaliere consecutive. Dal mattini presto (ci si alzava alle 8, per noi del LabGraal l’alba) fino a notte inoltrata, senza fermarsi un attimo. Giorni vissuti tutti insieme, LabGraal con il regista e la troupe, tutte le comparse e i collaboratori, in cui si è creata una situazione quasi irreale, una bolla di realtà parallela senza tempo e fuori dallo spazio.
Le location hanno sicuramente contribuito: erano il Ponte del Diavolo di Lanzo, il boschetto druidico di Villar Focchiardo e Dreamland nel Parco della Mandria. Posti magici, forse tra i più particolari della Val di Susa e delle Valli di Lanzo, che in quelle giornate hanno dato il meglio di sé. Abbiamo sfidato il tempo (meteorologico) che, contro ogni previsione, si è rivelato perfetto. Temevamo i temporali annunciati dalle previsioni, e ancor più temevamo il caldo estivo, che mal si confaceva con lo spirito del video. E invece abbiamo avuto in regalo un tempo nordico che ci ha mostrato scenari spettacolari.
Il primo giorno, lo scenario medievale del Ponte del Diavolo di Lanzo ci ha trasportato in un’era antica e senza tempo. Le comparse nei loro mantelli, muniti di torce, sembravano viandanti instancabili di un tempo remoto alla ricerca del senso della loro esistenza. I simboli che trovavano sul cammino li ponevano nella giusta direzione, nota solo a chi aveva tracciato il disegno invisibile che si sarebbe rivelato solo alla fine. Intanto noi musicisti, in un altro tempo, vivevamo la nostra storia parallela.
Il giorno seguente, catapultati nel bosco sacro dei druidi della Val di Susa, abbiamo vissuto momenti idilliaci nel trovarci tutti insieme in un posto da favola, dove era impossibile non percepire l’armonia della Natura e dove tutto, dagli alberi secolari agli antichi reperti megalitici, dalle ruote solari ai muretti di pietra, accompagnati dal canto degli uccelli, ci parlava di amore, di libertà e di conoscenza antica.
Mentre Domiziana mi truccava per le riprese sentivo il tranquillo vociferare della troupe e delle comparse, l’acqua del ruscello che scorreva senza sosta, il cinguettìo degli uccellini... un’atmosfera così magica che pensavo di stare ancora sognando nel mio letto. Rivivrei ogni minuto di quelle giornate, anche se le riprese sono state fatte e rifatte n-volte, anche se inevitabilmente i tempi “morti” impiegati nella preparazione erano molto più lunghi delle riprese stesse.
Al calar della sera le corse per cogliere la luce giusta di un tramonto che non concede ritardi rendevano improvvisamente frenetico il lavoro.
Presto, non c’è tempo! Accendi il falò... quanto dura il falò? Venti minuti? Presto, è già buio! Le torce si consumano troppo in fretta... All’improvviso i tempi rallentati della giornata diventavano convulsi a causa di una situazione cosmica che non sente ragioni. Il sole tramonta ogni giorno, puntualissimo. E puntualissimo arriva il buio.
Come nella strofa della canzone:

“Svegliati uomo,
la morte ti attende...
Svegliati uomo,
il tempo è arrivato.
Non rimanere
prigioniero del nulla”

Non c’è tempo, non c’è più tempo. Ma nulla ci vieta di goderci ogni attimo della nostra vita come se fosse l’ultimo. Questa era l’aria che respiravamo, tutti insieme, quando poi, stanchi, ci concedevamo finalmente la spaghettata dell’una di notte, dopo una giornata vissuta a cavallo tra realtà e sogno.