domenica 9 dicembre 2012

Ola Cassadore 1923 – 2012

Il 25 novembre scorso è mancata Ola Cassadore, una grande guerriera Apache, una leader spirituale che ha dedicato la sua vita a difendere la montagna sacra degli Apache.
Eravamo unite da un legame profondissimo, fraterno e spirituale, che superava qualsiasi barriera di spazio e cultura. Ero consapevole che questo momento sarebbe arrivato, ero preparata, ma lo temevo perchè sapevo quanto mi sarebbe mancata.
Ola Cassadore era una donna saggia, una grande leader spirituale e allo stesso tempo una donna di una semplicità disarmante. Colpiva per la sua espressione sempre seria, che quando meno te lo aspettavi si trasformava mentre esplodeva in una risata cristallina da ragazzina. A Ola piaceva giocare, divertirsi, scherzare. Era di poche parole, eppure è riuscita a toccare i cuori di moltissime persone in tutto il mondo. Aveva una missione: difendere la montagna sacra degli Apache, Mount Graham, che in lingua Apache si chiama Dzill Nchaa Si’An, la Grande Montagna Seduta.
Ola prese un solenne impegno con gli Anziani Apache, quando essi le parlarono dell’imminente dissacrazione della loro montagna sacra a causa del progetto che avrebbe presto distrutto il loro luogo più sacro. Mi ha confidato: “E’ stato molto doloroso per gli Anziani, e le lacrime hanno cominciato a scorrere dai loro occhi mentre mi raccontavano del fatto che Mount Graham è una montagna sacra e che loro non volevano che la montagna fosse distrutta. E’ stato in quel momento che ho deciso di oppormi al progetto.”
Ho avuto il privilegio di conoscere Ola e di dividere con lei molti momenti significativi, sia di lotta sia di quotidianità. Un contatto iniziato a causa di una missione comune, la difesa di un luogo sacro di un Popolo nativo, e diventato presto un rapporto intimo e particolare, in cui due culture si incontravano e si riconoscevano in una spiritualità condivisa.
I momenti che ricordo con maggior forza, e di cui sento maggiormente la mancanza, sono quelli di natura quotidiana, in cui si dividevano le reciproche abitudini e consuetudini culturali, ci si scambiavano idee e progetti, giochi e scherzi. Le piaceva Michelle, la mia gattina, ed era ricambiata con continui agguati da parte di quest’ultima, in un gioco che non finiva mai.
Nei pochi momenti lasciati liberi dagli impegni dovuti alla causa di Mount Graham, Ola e suo marito Mike Davis si lasciavano andare con me e Giancarlo a confidenze sulla loro vita quotidiana nella riserva San Carlos, sugli usi e costumi della tradizione Apache, e ovviamente non mancavano le note tristi e anche di rabbia per l’ennesima umiliazione che gli Apache stavano subendo.
Ho incontrato Ola per la prima volta insieme a Giancarlo nel 1993, in Arizona, nella sua roulotte nella riserva Apache San Carlos. Subito ci ha colpito quel misto di fierezza, dolcezza e velata sofferenza che accomuna chi si è visto poco a poco portare via tutto: terre, tradizioni, riti, usanze.
Ola è cresciuta in una famiglia Apache fortemente tradizionale, sua nonna era medicine-woman e praticava la terapeutica tradizionale per le persone della Comunità. Suo fratello, Philip Cassadore, seguendo le orme del padre e dello zio è diventato anch’egli medicine-man, ricevendo la sua nomina su Mount Graham nel modo tradizionale Apache.
Quando Ola, insieme a Mike, ci ha condotti su Mount Graham per mostrarci lo scempio che si stava compiendo nel loro massimo luogo sacro, ho pianto insieme a lei.
L’umiliazione a cui abbiamo assistito nel vedere la strada sbarrata e il ranger che allontanava i discendenti di un fiero popolo dalla loro montagna, ci ha fatto decidere di schierarci al loro fianco a combattere. Ci sentivamo in qualche modo responsabili: l’Italia partecipa al progetto attraverso l’osservatorio di Arcetri; un altro dei maggiori sponsor è il Vaticano. Come possiamo, noi italiani, far finta di niente?
Da allora abbiamo incontrato Ola e Mike molte altre volte, sia in Arizona che in Italia. La solidarietà è diventata amicizia, affetto, fiducia. I momenti che passavamo insieme a lavorare per la nostra comune impresa erano pieni di allegria e di aneddoti. Abbiamo condiviso momenti molto intimi sul piano spirituale, come ad esempio la preghera Apache da lei condotta su Mount Graham a cui abbiamo partecipato, purtroppo non nella parte più sacra del monte perchè sbarrata.
Ola cantava in lingua apache le canzoni tradizionali del suo popolo. La sua voce sottolineava  l’evocatività dei canti tradizionali, come se arrivasse da un altro tempo.
Ricordo le serate passate con Ola e Mike e il LabGraal, serate di allegria e serenità in cui Ola ci cantava le canzoni Apache. Abbiamo cantato insieme e registrato alcuni brani che lei cantava in lingua Apache. Una canzone, “Geronimo Song”, è stata inserita nella colonna sonora del film ”Shan, il cuore antico dei Popoli naturali” che noi del LabGraal abbiamo girato per far conoscere la realtà dei Popoli nativi, tra cui il problema della profanazione della montagna sacra degli Apache. Nel film c’è anche un appello accorato di Ola.
Un’altra canzone, raccolta in quelle serate con Ola, la conserverò per sempre come un suo regalo postumo, un canto apache che in questi giorni non smette di accompagnarmi, come se fosse proprio lei a cantarmelo. Si tratta di una canzone che lei mi cantava nei momenti più imprevisti, ricordo che lo ha fatto una volta in una trattoria romana, facendomi ridere e insieme intenerire. Diceva che era dedicata a me. Solo molto tempo dopo ho scoperto che la canzone ripeteva una parola che significava “grazie”.
Abbiamo passato anni di lontananza in cui però ci sentivamo ogni notte (per via delle 9 ore di differenza) per portare avanti la lotta per Mount Graham: anni di fax, di mail, di documenti, di appelli, testimonianze, strategie. Era come essere insieme anche fisicamente. Le telefonavo di notte e lei mi rispondeva con il suo vocione: RÒSEBOL! Sì, mi chiamava così perchè non era mai riuscita a pronunciare il mio nome in altro modo. “Ròsebol, go to sleep!” E poi scoppiava in una delle sue risate cristalline.
Con Ola se n’è andata una parte di me. In questi giorni è come scoperchiare un vaso pieno di ricordi, molti dei quali rimasti in attesa di uscire al momento opportuno. Uno scrigno che contiene una infinità di sorprese ancora da scoprire.
Sono molti i preziosi regali che Ola mi ha lasciato, e che conservo con infinito amore. Ma il regalo più grande è quello che viaggia verso il futuro: la sua missione è diventata la mia e di tutti coloro che non vogliono che una vita dedicata a difendere un luogo sacro sia stata spesa invano.
So per certo che la battaglia per Mount Graham non verrà dimenticata, perchè è il simbolo della lotta per difendere le antiche tradizioni e far sì che possano continuare ad essere trasmesse alle generazioni future.  Tradizioni che conservano gli insegnamenti degli Antenati, basati su principi di fratellanza, di libertà e di conoscenza. Conservano la nostra storia antica e ci proteggono contro un futuro incerto che ci priva della nostra identità.
La lotta di Ola Cassadore sarà la lotta di tutti coloro che intendono mantenere le loro radici native, il loro cuore antico.
E Ola, ne sono certa, sarà con noi.

venerdì 13 luglio 2012

I Popoli naturali all’ONU di Ginevra

Si è appena concluso alle Nazioni Unite di Ginevra l’annuale “Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples”, il meeting di esperti sui diritti dei Popoli Indigeni. Questa assemblea è un corpo sussidiario del Consiglio per i Diritti Umani istituito con lo scopo di fornire al Human Rights Council la consulenza tematica, sotto forma di studi e ricerche, sui diritti dei Popoli indigeni e di suggerire proposte per la loro tutela.
L’EMRIP, alla sua quinta sessione, ha radunato anche quest’anno esperti e rappresentanti indigeni da tutti i continenti che attraverso relazioni e dibattiti hanno portato avanti il lavoro iniziato più di 20 anni fa proprio qui a Ginevra con il Working Group on Indigenous Populations, sfociato poi nel Permanent Forum on Indigenous Peoples dell’ONU di New York. Il lavoro di questa Commissione consiste in ultima analisi nel creare le procedure affinchè la Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni, approvata dall’ONU nel 2007, non rimanga un atto puramente morale, ma venga applicata dagli Stati. In questi cinque anni di lavoro dell’EMRIP sono stati affrontati temi fondamentali. La prima fase è stata dedicata al diritto all’istruzione dei Popoli indigeni e alle modalità per la sua applicazione.
Nella seconda la Commissione di Esperti ha affrontato la questione dei diritti degli Indigenous Peoples a partecipare ai processi decisionali degli Stati. Dal 2011 l’EMRIP si sta focalizzando su una terza fase di lavoro, tanto delicata quanto emblematica: il diritto dei Popoli indigeni alla propria lingua, alla propria cultura e identità. Tematiche che possono sembrare scontate nella nostra epoca, ma che rivelano la profonda discriminazione di cui i Popoli naturali sono ancora oggetto. Come sempre, l’atmosfera che si respira in queste riunioni è gioiosa e frizzante.
Un’assemblea variopinta composta da delegati di etnie da tutto il mondo che esibiscono con fierezza i loro abiti tradizionali, tutti quanti attrezzati con tablet e smartphones di nuova generazione.Le declarations di questa sessione trattavano temi scottanti e venivano lette con enfasi e parole toccanti. Il tema principale era l’identità nativa, con tutto quello che implica: la cultura, le tradizioni ancestrali, la lingua. Tutte cose di cui i Nativi per lungo tempo sono stati privati, e questa privazione ha minato seriamente la sopravvivenza della loro cultura e identità. Ci sono stati momenti emozionanti, come quando, in chiusura, i rappresentanti delle Six Nations hanno conferito a Chief Littlechild, presidente dell’assemblea, un riconoscimento per il lavoro svolto in questi 30 anni, e gli hanno donato una veste rituale. La sessione si è conclusa con una preghiera Aymara dedicata a Madre Terra, a cui tutti hanno partecipato alzandosi in piedi. Partecipavo insieme a Giancarlo come delegata della Ecospirituality Foundation, eravamo accompagnati da Luca e Gianluca in veste di reporter. Anno dopo anno ci si ritrova tutti e ormai il rapporto è consolidato. Da un forum all’altro sembra che il tempo non sia passato. Abbiamo assistito agli avvenimenti degli ultimi dodici anni ed abbiamo dato il nostro piccolo contributo per la maturazione di una identità nativa globale. Ma il processo era già iniziato molto prima. Sono passati 30 anni dall’ingresso dei Popoli indigeni all’ONU. Il primo passo è stato l’avvio del Working Group on Indigenous Populations, nato in sordina nell’ambito della Commissione per i Diritti Umani, e frequentato all’inizio da pochissimi rappresentanti nativi. Lo scopo era quello di promuovere una Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni, un lavoro che si è rivelato arduo per via del difficile rapporto con i Governi e che ha richiesto per la sua stesura circa 25 anni. Ma l’assemblea degli indigenous Peoples nel frattempo è cresciuta sempre di più, e con essa è cresciuta la consapevolezza dell’identità Nativa, una caratteristica che gli Indigenous Peoples hanno scoperto di avere in comune al di là delle differenze geografiche e culturali. Il lavoro del Working Group di Ginevra è sfociato nel Permanent Forum di New York, dove l’assemblea dei Popoli naturali ha toccato le sue punte massime con più di 3.000 rappresentanti indigeni da tutto il mondo, consolidandosi come l’assemblea più vasta delle Nazioni Unite. Per via della grande partecipazione dei Nativi, il Permanent Forum ha spesso dovuto adottare misure straordinarie e svolgersi in più sale collegate tra di loro da maxischermi, in quanto non vi erano sale sufficientemente capienti per contenere tutti i partecipanti.
La Carta dei Diritti è stata finalmente adottata nel 2007, un risultato impensabile solo 10 anni fa, e quello che più conta, è stata adottata anche da tutti gli Stati membri. La Ecospirituality Foundation in tutti questi anni ha sempre sostenuto l’importanza di tutelare, a fianco dei diritti alla terra e ai mezzi di sussistenza, anche la tutela delle tradizioni e dell’identità dei Nativi. Nella versione finale della Carta dei Diritti, questi principi sono presenti in molti dei suoi articoli. Ora il passo successivo è quello di fare in modo che la Carta non rimanga un atto formale, ma venga applicata. Per questo è fondamentale che meccanismi come l’EMRIP continuino ad esistere per tutelare, pressare gli Stati, proporre strategie al fine che i Popoli indigeni possano finalmente vantare gli stessi diritti che godono i cittadini della società maggioritaria. E soprattutto è importante che tutti i Popoli autoctoni, di qualsiasi latitudine, possano manifestare le loro culture e le loro tradizioni senza essere oggetto di discriminazioni. Il problema tocca anche noi europei: sono ancora molte quelle comunità autoctone che si ammantano della discrezione per proteggere le loro tradizioni millenarie. Ma queste culture, così come i loro luoghi sacri, non sono tutelate e la loro sopravvivenza è a rischio. Quand’è che vedremo in queste assemblee dell’ONU anche rappresentanti di comunità autoctone di casa nostra? Il processo è avviato. Non resta che andare avanti.

mercoledì 4 luglio 2012

Musica per un mondo migliore



Quando il LabGraal si esibisce, scatta sempre una grande magia. Pubblico, musicisti e danzatori diventano una cosa sola ed entrano a far parte di un mondo magico, una dimensione senza tempo, in cui sembra che tutto possa avverarsi.
E’ quello che respiriamo noi musicisti sul palco, e credo che molto del merito vada al nostro pubblico, sempre così caloroso, attento e pieno di affetto nei nostri confronti.
Quando iniziamo a suonare, la navicella parte, il viaggio ha inizio, ha inizio la magia. Non è solo divertimento, è qualcosa di più.
Forse sarà perchè nella nostra musica c’è un messaggio liberatorio e, insieme, mistico. Ci rivolgiamo alla Natura, a Madre Terra e a tutti i suoi abitanti. Cantiamo e suoniamo il nostro amore per gli animali, lo facciamo con tutto il cuore, e non ci stancheremo mai di farlo, come dei bardi che instancabilmente portano avanti un messaggio che deve imprimersi nella mente delle genti perchè non vada dimenticato.
Gli ultimi concerti sono stati dedicati a loro, ai figli di Madre Terra che non vengono riconosciuti come nostri fratelli. Gli esseri più deboli tra i deboli.
“Sognando un mondo migliore” era il concerto dedicato a loro, ai nostri fratelli animali. Un concerto accompagnato da una mostra collettiva a cui hanno partecipato con grande entusiasmo quindici artisti.
Nello splendido scenario del cortile settecentesco dell’Università di Torino invece abbiamo suonato per Madre Terra, in una rassegna dedicata alla Natura.
L’ultimo, qualche giorno fa, si svolgeva a Mezzenile, un antico borgo dove si sentono ancora oggi le tracce di una antica tradizione.
Ogni volta è un’esperienza particolare e unica. Il concerto inizia e finisce al suono della cornamusa di Luca. Tra una canto di battaglia e una canzone che incita alla danza, Giancarlo crea una bolla di silenzio con le sue poesie e il flauto. Gianluca fa battere i piedi, le mani e il cuore al ritmo dei tamburi, Andrea ricama antiche melodie con il bouzuki. Io mi lascio rapire dalla mia stessa voce, che esce da non so dove e va lontano.
I nostri concerti terminano sempre con l'urlo del drago, la bagpipe di Luca, in una catarsi collettiva dove tutti, ma proprio tutti, partecipano in piedi cantando con noi e battendo le mani. Momenti che rimangono impressi nella memoria e che sembrano mettere in contatto con dimensioni arcaiche.
La musica è qualcosa che nulla può fermare. Inesorabilmente procede nel suo incessante cammino, portando messaggi di speranza e di libertà. E noi del LabGraal ci sentiamo come dei viandanti che vengono trascinati da qualcosa di più grande di loro, da una storia iniziata millenni fa, che prosegue nel suo corso e lascia che i bardi che incontra sul suo cammino la accompagnino per un tratto, chiamando a raccolta tutti coloro che sanno ascoltare.

Ma chi vuole ancora la caccia?


A riprova di ciò che è ormai entrato nella mentalità corrente, e cioè che  la caccia è una pratica barbara, obsoleta e anacronistica, il corteo che si è svolto lo scorso 3 giugno a Torino è stata una ulteriore conferma del profondo sentimento anticaccia che ormai regna incontrastato nei cittadini di ogni età, cultura, ceto, ideologia politica o religiosa.
Più di 3mila persone hanno manifestato pacificamente in corteo nel centro di Torino, provenienti da tutto il Piemonte e da varie parti d’Italia, per protestare contro l’abolizione del referendum che era stato fissato proprio per quella data. Un referendum per limitare la caccia in Piemonte, richiesto 25 anni fa da 60mila persone, lungamente osteggiato e poi reso inevitabile dalla decisione del TAR, ma all’ultimo momento abolito per l’abrogazione della legge regionale che il referendum chiedeva di modificare.
Un espediente, un “trucchetto legislativo”, così come lo definiscono i promotori del referendum. Per dare una risposta tempestiva e un segnale ai tanti che si sono trovati disorientati dall’annullamento a  campagna referendaria già attivata il Comitato promotore ha organizzato a tempi record, neanche tre settimane, una manifestazione nazionale di protesta.
E il movimento del SI ha risposto compatto, dimostrando che il referendum potenzialmente il quorum lo ha già raggiunto, e inevitabilmente la vittoria è già in pugno.
Insieme ai membri del Comitato, portavo lo striscione che guidava il corteo con la scritta “Riprendiamoci il referendum e la democrazia” con i rappresentanti di vari partiri politici e di   amministrazioni comunali che intendevano dare un segnale di sostegno. La manifestazione ha visto anche una grande partecipazione da parte di tutte le associazioni animaliste e ambientaliste, tra cui SOS Gaia.
Molte sono state le dichiarazioni a sostegno della manifestazione. Il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha fatto giungere al Comitato del Referendum il seguente messaggio:
“Aderisco alla manifestazione del 3 giugno, di protesta contro il comportamento dell’Amministrazione regionale che ha operato per vanificare l’iniziativa di tanti cittadini che, da venticinque anni (venticinque!!!) operano per poter esercitare il diritto al referendum su temi così importanti come la difesa dell’ambiente e il rispetto delle forme della vita che ospita e il contrasto della cultura che considera l’uccisione degli animali uno sport, un passatempo, un divertimento.
Oggi, finalmente, la legittimità di questa iniziativa è stata pienamente riconosciuta ma è venuto a mancare quel minimo di cultura democratica che imporrebbe al mondo della politica, di fronte a una richiesta referendaria, di mettersi da un lato, registrare la volontà dei cittadini e astenersi da comportamenti ostruzionistici. Evidentemente, c’è chi ritiene che i cittadini siano marionette e che la presente amministrazione regionale – la cui legittimità è, come minimo, dubbia – possa manipolarli come meglio ritiene, dando via libera solo alle iniziative che non danno fastidio. Ma la democrazia è un’altra cosa e, prima o poi, ce ne dovremo rendere conto tutti. Auguri per la manifestazione che avete convocato.”
Andrea Zanoni, deputato al Parlamento Europeo per la Commissione Ambiente, ha dichiarato: “Il successo di questa manifestazione dimostra che moltissimi cittadini sono molto arrabbiati perchè sono stati derubati di un diritto importantissimo che è quello di potersi esprimere, soprattutto per un tema così importante come la tutela degli animali selvatici. Un referendum sulla caccia dovrebbe essere inutile oggi in Italia, perchè sappiamo tutti che i cittadini sono contrari all’uccisione degli animali selvatici per divertimento. Il Parlamento dovrebbe semplicemente approvare una legge che vieti la caccia. E’ una cosa semplicissima e non costerebbe nulla. Questo però non avviene perchè purtroppo tutti sappiamo che le lobbies che sostengono la caccia sono molto forti e che i nostri rappresentanti al Parlamento non rappresentano più i cittadini, ma rappresentano le lobbies. Ma le manifestazioni come quella di oggi dimostrano che le cose stanno per cambiare. Io credo che con la prossima legislatura potremo parlare di referendum nazionale per abrogare finalmente la caccia in tutta Italia.” Roberto Piana, promotore storico del referendum, ha dichiarato: “Il referendum è vivo, c’è ancora. Semplicemente non c’è più la legge sulla quale votare. Un atto gravissimo e antidemocratico. Nasce dal Piemonte, da questa piazza e dalle battaglie condotte in questi anni una grande speranza affinché la caccia venga abolita, non solo nella nostra regione, ma in Italia e in Europa. Non ha più senso oggi l’attività venatoria.”
Piero Belletti, altro capo storico del Comitato promotore, che con Roberto Piana porta avanti questa battaglia da 25 anni, ha affermato: “Non molleremo. Siamo più decisi e risoluti che mai ad andare avanti. Il referendum non è morto, è soltanto stato accantonato, ma ce lo riprenderemo. Confidiamo molto nella magistratura e ci auguriamo che come è già successo più volte in passato ci dia nuovamente ragione e imponga ancora una volta alla Regione di effettuare il referendum”.
La battuta di arresto che il referendum ha subìto sembra aver dato ancora più forza, nonchè una grande visibilità nazionale, al movimento che per tutti questi anni ha lottato e che proprio quando ha quasi raggiunto il traguardo si è visto scippare l’oggetto della sua battaglia.
Se non fosse un termine inappropriato visto l’argomento, potremmo dire che ora il movimento “alza il tiro”.  Dice Piana: “Il precedente referendum chiedeva una forte limitazione della caccia, poichè quando era stato formulato la legge nazionale impediva di chiedere l’abolizione totale dell’attività venatoria. Nel tempo la situazione è cambiate: oggi l’articolo 117 della Costituzione stabilisce che la caccia è di competenza regionale. Pertanto con il prossimo referendum chiederemo l’abolizione totale della caccia. Il Comitato che ha combattuto per 25 anni è vivo, è più forte che mai, continuerà la battaglia e siamo sicuri che alla fine vinceremo.”

mercoledì 21 marzo 2012

Quando i cacciatori sono in famiglia

Provengo da una famiglia di cacciatori.
Padre cacciatore, nonno cacciatore, zii cacciatori, fratelli cacciatori.
Tradizione di famiglia, dicevano.
Un mezzo per socializzare, per tenere la famiglia unita, diceva mia madre.
Una occasione per stare all’aria aperta, a contatto con la natura, per fare un po’ di moto e tenersi in forma, diceva mio padre.
Sono cresciuta vedendo arrivare in casa corpicini martoriati, alle volte alcuni ancora agonizzanti.
A tutti sembrava la cosa più normale del mondo. Le riunioni di famiglia erano incentrate sui racconti di caccia e sui discorsi dei maschi, tipo “quanti tordi hai preso?”... “e beccacce ne hai viste?”... e così via. Le conversazioni vertevano dai richiami da caccia, a come addestrare i cani, agli aneddoti su come riuscivano a “fregare” le loro prede.
Nonostante non avessi mai sentito parlare di animalismo, mi sentivo un’aliena. Non capivo come si potesse gioire nel vedere quegli esseri privati della loro vita, per giunta in maniera così  cruenta e con l’inganno dei falsi richiami.
Oggi mi viene da pensare che soltanto una grande ignoranza poteva giustificare un comportamento del genere, per giunta così diseducativo verso i  figli. 
La caccia tradizione di famiglia? Probabilmente è quello che dicono anche quelle etnie che praticano ancora oggi il cannibalismo. Ma quando le tradizioni sono abominevoli, non sarebbe il caso di prendere in considerazione l’idea di civilizzarsi un po’? Non siamo più all’età della pietra!

La caccia un mezzo per socializzare? Ma compratevi un Monopoli, giocate a battaglia navale! E se proprio, per socializzare, avete bisogno dell’adrenalina, giocate a strip poker, datevi al bungee jumping, iscrivetevi a un fight club! Sarà comunque molto più sano che andare “a contatto con la natura” con lo scopo di uccidere i suoi abitanti.

La caccia un mezzo per tenere la famiglia unita? Beh, non ha funzionato. La caccia è stato proprio l’elemento che ci ha divisi profondamente.




Gli alieni accanto a noi


Molte persone considerano possibile la manifestazione di altre intelligenze nell'universo. Il tema è affascinante anche se pone difficili questioni etiche: se esiste altra vita nell’universo, come si sarà sviluppata la cultura delle altre specie? Il sistema sociale sarà simile al nostro, avranno dei profeti, avranno avuto anche queste altre civiltà un Cristo o un Buddha a cui rendere conto?
Problemi spinosi che probabilmente stanno alla base della cover-up che mantiene l’argomento al di sotto della minima soglia di normalissima informazione: occuparsi di UFO e alieni significa avere del tempo da perdere ed essere come minimo persone stravaganti.
Ma non ci si rende conto che gli stessi pregiudizi scattano quando si cerca di approfondire il rapporto con gli alieni che stanno accanto a noi. Quanti si rendono conto della presenza di intelligenze diverse vicino a noi, fianco a fianco, addirittura in casa nostra?
Mi  riferisco alle forme di vita che coabitano con noi su questo pianeta, comunemente definite "animali".
Oggi per fortuna, chiunque abbia un minimo di  civiltà,  considera normale  tutelare  gli  animali, trattarli  dignitosamente  e,  quando possibile, dare loro ospitalità.
Ma fino a che punto li consideriamo "persone", al nostro pari,  con una  loro  individualità, con una loro  evoluzione  e  autocoscienza? Esseri intelligenti con cui confrontarci e magari, reciprocamente,  apprendere qualcosa gli uni dagli altri?
Spesso  anche chi li tutela e si batte per i  loro  diritti,  trova normalissimo ad esempio "castrarli". Molti veterinari si rifiutano, veri e propri obiettori di coscienza, di adottare metodi di sterilizzazione che permettano agli animali di avere una normale vita sociale. La castrazione è considerata normale, in quanto non è concesso agli animali di avere una propria cultura e socialità. Così come è considerato normale separare intere famiglie, smembrandole e disseminando i piccoli di qua e di là. Proviamo a confrontare questo comportamento con l’ambito della famiglia umana e ci accorgeremo in maniera lampante di quanto grande sia la discriminazione che attuiamo verso i nostri amati animali.
La Pet therapy è considerata una pratica all’avanguardia nella direzione del rispetto dell’animale, ma il dubbio che sia un ennesimo sfruttamento degli animali è forte. Il rapporto uomo-animale, vissuto in assoluta parità, è una conquista ancora molto lontana.
Se ci guardiamo intorno con attenzione, scopriamo che persone civilissime e rispettose della vita altrui, che magari si indignano per i quotidiani atti di inciviltà di cui i giornali sono pieni, trovano normale che gli animali costituiscano le nostre  riserve di cibo. Addirittura, molte persone colte ed informate non hanno una idea precisa delle condizioni in cui versano gli animali negli allevamenti intensivi, o le galline e i polli in batteria. O forse, preferiscono non sapere.
Siamo convinti di vivere un'era di progresso e di civiltà,  eppure permettiamo che altre forme di vita, intelligenze diverse da noi  nella forma e nella cultura, siano quotidianamente torturate, vivisezionate, mangiate. Nel migliore dei casi, sono private della loro dignità di esseri viventi, con una loro coscienza, una loro cultura.
Se si trattasse di esseri provenienti dallo spazio, forse ci  indigneremmo. Con gli animali, è normale.
L'uso degli animali come cibo e come strumento di ricerca medica  si basa  sull'equivoco  che  essi  siano  intellettivamente  "inferiori", incapaci di veri sentimenti e di autocoscienza. Ma su quali basi si può fare un'affermazione simile?
Non c'è alcuna base certa per poter affermare che l'uomo sia intellettivamente  superiore.
Gli animali riservano continue sorprese. Per fortuna oggi esistono seri ricercatori, come l’etologo Eugen Linden, che se ne stanno accorgendo e stanno raccogliendo casistiche impressionanti sulle facoltà degli animali.
Linden ha raccolto filmati che mostrano leopardi che attraversano il fiume in canoa, o cani randagi in Russia che si adattano a fare i pendolari.
Il video del leopardo in una foresta dell’India documenta un caso di amore materno: il suo cucciolo si trovava sulla sponda di un fiume sul punto di tracimare. La femmina di leopardo è riuscita in qualche modo ad attirare l’attenzione di un uomo di una capanna non lontana dalla propria tana, il quale collaborativamente ha avvicinato la canoa alla tana. La femmina di leopardo è salita sull’imbaracazione con la sua creatura, e poi ha poi rivolto la sguardo verso l’uomo, che era ancora a terra, in maniera molto esplicita e invitandolo a salire.
I cani randagi in Russia invece hanno imparato a prendere la metro e ad andare in centro. A centinaia, ogni giorno, scendono le scale, aspettano sulle piattaforme che arrivino le carrozze con gli altri passeggeri, salgono e scendono alle fermate giuste. Pare che ormai riconoscano i nomi delle fermate agli altoparlanti, e scendono a quelle dove la folla è maggiore, dove ci sono più chances di avere del cibo dagli umani.
Esistono in rete video che mostrano il metodo adottato dai corvi per rompere le noci: in Giappone, il corvo ripreso nel video posa la noce su una strada trafficata, attendendo che un’auto di passaggio la rompa. Poi aspetta l’arrivo del semaforo rosso per mangiare la noce senza correre il rischio di essere travolto dalle auto.
Sono solo alcuni esempi, ma potremmo farne a migliaia. Le scimmie conoscono le erbe meglio degli umani e si curano con esse. Gli scimpanzé ad esempio, utilizzano come vermifugo la Vernonia amygdalina che contiene sostanze ad attività antitumorale, antiparassitaria e antimicrobica. I gorilla di montagna usano l'Afromomum angustifolium come antimicrobico dell'apparato digerente. Fanno inoltre uso di erbe che si sono rivelate curative di alcuni tipi di cancro e per l’AIDS. E ancora: usano erbe anticoncezionali.
Da questi (pochi) esempi verrebbe da chiedersi, non tanto se gli animali abbiano sviluppato una intelligenza pari alla nostra, ma esattamente il contrario: siamo intelligenti come loro? Paradossalmente, gli animali dimostrano di conoscere molto di più della nostra cultura di quanto noi non conosciamo della loro. I nostri coinquilini a quattro zampe imparano la nostra lingua, è dimostrato che sono in grado di comunicare con noi. Non è così nel nostro caso: cosa conosciamo REALMENTE del linguaggio del nostro cane o del nostro gatto?
Per non parlare delle facoltà oltre il normale, i poteri straordinari degli animali. C’è una casistica impressionante in merito, ma è un argomento su cui non è il caso di addentrarsi, perchè presteremmo il fianco allo scetticismo dei “conservatoristi delle idee” e si rischierebbe di inficiare anche quei pochi dati inconfutabili che abbiamo citato.
Altro esempio: gli insetti hanno una struttura nervosa completamente diversa  dalla  nostra; ma non per questo si può affermare  che  non siano  intelligenti, basti pensare alla complicata  struttura  sociale gerarchica delle api o delle formiche. Istinto di specie? Allora faremmo bene a  chiederci che cosa sia l'istinto, giacché rivelerebbe facoltà misteriose su cui varrebbe la pena di indagare.
Oggi fortunatamente la sensibilità verso gli animali è in aumento. Eppure anche i meglio intenzionati non so fino a che punto  considerino il proprio cane o il proprio gatto al pari di un alieno  sbarcato in casa loro da un'astronave, un membro di un’altra specie, di un’altra cultura, con cui confrontarsi alla pari.
Fino a che punto cerchiamo veramente di capirli e di comunicare con loro?

lunedì 13 febbraio 2012

San Valentino, una festa per tutti


Eccoci di nuovo al 14 febbraio, e anche quest’anno saranno in molti a chiedersi come e con chi festeggiarlo. Ma chi non ha ancora trovato l’anima gemella, o chi sta aspettando il 15 febbraio per mollare un fidanzato o una fidanzata scomoda, non si angusti: in realtà questa festa in origine non era così discriminante come la conosciamo ora.  La ricorrenza di San Valentino, oggi conosciuta come la festa degli innamorati, deriva da una festa celtica che celebrava l’amore universale, l’amore verso la Natura, verso Madre Terra con tutte le specie che l’abitano. La fratellanza e l’amicizia. Un significato quindi molto più ampio e profondo della concezione attuale.
La festa di San Valentino, celebrata in gran parte del mondo, soprattutto in Europa, nelle Americhe ed in Estremo Oriente, è stata cooptata dalla Chiesa che l’ha sostituita ad una precedente ricorrenza pagana, la festa delle Lupercalia. I Lupercali erano una festività romana che si celebrava in onore del dio Luperco, protettore del bestiame.
Ma è noto che i romani attingevano a piene mani, per i loro riti, simboli e ricorrenze, alla tradizione celtica. E in effetti se vogliamo conoscere il vero significato di questa ricorrenza dobbiamo ricercare nelle sue origini celtiche.
La festa degli innamorati nasce da un popolare rito pagano per la fertilità, che la Chiesa cattolica ha fatto suo. Fin dal quarto secolo a.C. i romani pagani rendevano omaggio, con un singolare rito annuale, al dio Lupercus. I nomi delle donne e degli uomini che adoravano questo Dio venivano messi in un'urna e opportunamente mescolati. Un bambino sceglieva a caso alcune coppie che per un intero anno avrebbero vissuto in intimità affinché il rito della fertilità fosse concluso. Per mettere  fine a questa pratica la Chiesa ha cercato "un santo degli innamorati", identificandolo nel vescovo Valentino, martirizzato circa 200 anni prima.
Il rito celtico tuttavia non si limitava a celebrare la vita, bensì a festeggiare l’unione con tutte le forme di vita e con il pianeta stesso.
Ancora oggi questa festa viene celebrata nella sua accezione originaria dai Popoli autoctoni d’Europa, quelle culture invisibili che hanno conservato le loro tradizioni nonostante le persecuzioni religiose. Oggi in Europa sopravvivono molte comunità tradizionali di culture autoctone che continuano incessantemente a mantenere vive le loro conoscenze tradizionali.
Secondo alcune di queste culture autoctone, la ricorrenza di San Valentino è la Festa dell’Amore Universale, chiamata secondo un antico linguaggio “Shuda Shali”. E' la celebrazione dello Shali, cioè l'amore universale che lega tutta l'esistenza e tutte le forme di vita, senza distinzioni di sorta che possano dividere, ruolizzare o gerarchizzare. Anticamente questo giorno veniva festeggiato con un patto simbolico tra gli uomini, una sorta di dedica di  Pace per tutta l'umanità e verso tutte le altre creature viventi.
Le feste celtiche hanno sempre un risvolto intimista, riferito ad una esperienza interiore. La festa dell’Amore suscitava una sintonia completa verso la natura, che si esprimeva nel concetto di essere “vento nel vento”.
La ricorrenza veniva celebrata innalzando un grande palo guarnito di lunghi nastri colorati e addobbato con fiori multicolori, attorno al quale venivano organizzate grandi danze collettive. Lo stesso palo veniva poi innalzato nuovamente a maggio per la festa celtica di Beltaine.
L’usanza del palo ornato di nastri colorati ha attraversato l’Europa e lo ritroviamo anche nelle valli piemontesi. Ancora oggi in molte feste paesane si innalza l’”albero della cuccagna”, che ricorda l’usanza celtica.
Gli storici Giovanni e Pasquale Milone, nel loro studio relativo alle Valli di Lanzo del 1911, scrivevano: «Una cinquantina d'anni fa in Balme usavasi innalzare presso la cappella della Visitazione una specie di albero della cuccagna, adorno di fiori e di nastri». Da notare che la Madonna della Visitazione nelle Valli di Lanzo è ancora venerata come la Madonna del Vento, Madòna dou vänt.
L’usanza pagana dei pali addobbati è ancora viva a Balangero e a Ceres. A Cantoira, in questo periodo, vi è l’usanza di portare lungo il paese un albero di agrifoglio agghindato con nastri e dolciumi e lasciarlo esposto sino al martedì grasso.
L’usanza è presente anche in Val di Susa: a Giaglione in questo periodo ricorre la Festa degli Spadonari, antichissima usanza celtica in cui viene innalzato il Bran, una struttura in legno a forma di albero, alta circa 2 metri e mezzo, ricoperta di fiori e grappoli d’uva, spighe di grano, con fiocchi e nastri colorati. Il Bran viene poi riutilizzato nella ricorrenza di Beltain, in maggio.
Nella parte nord del Parco La Mandria, in Piemonte, dove sorge il grande cerchio di pietre di Dreamland, anticamente veniva celebrata l’usanza dell’albero agghindato con i nastri colorati. Secondo le testimonianze degli anziani delle comunità celtiche ancora esistenti in zona, un clan celtico conosciuto con il nome di Ramat abitava una zona che dalle attuali cittadine di Fiano e La Cassa si estendeva fino a Robassomero. Secondo le credenze popolari, l'origine di questo clan veniva fatta risalire alla Val di Susa. Si erano spostati dalla loro valle di origine passando attraverso una grotta che si apriva sul fianco del monte Roc Maol (l'attuale Rocciamelone) e raggiungeva le Valli di Lanzo come un lungo tunnel naturale.
Questo clan sarebbe all'origine di una delle "Famiglie Celtiche" ancora oggi esistenti nelle Valli di Lanzo, attraverso un lungo percorso di vicende che vanno dalla conquista della zona da parte dei romani alla scomparsa sanguinosa dei Catari che anch'essi, dopo i Salassi, estendevano la loro presenza in questa area. Sono numerosissime le testimonianze nelle Valli di Lanzo della presenza dei Templari, continuatori della tradizione Catara,  e successivamente dei loro eredi Rosacroce. Non c’è quindi da stupirsi se le antiche usanze celtiche siano continuate fino ai giorni nostri, molte volte mescolate a riti religiosi cristiani.
Secondo la narrazione degli anziani delle "Famiglie Celtiche" delle Valli di Lanzo, in un luogo situato a nord dell'attuale Parco La Mandria, esisteva un grande albero sacro secolare posto al centro di una radura, che era considerato il centro della terra sacra su cui viveva l'antico clan dei Ramat.

Dopo che la Chiesa, con il concilio di Arles, proibì l'adorazione degli alberi, delle fonti e dei megaliti, la celebrazione dei Solstizi e degli Equinozi continuò al riparo della grande foresta di querce che allora ricopriva l'attuale tenuta del Parco La Mandria e che manteneva la sua impenetrabilità anche se in precedenza era stata in gran parte disboscata dai romani.
Per prudenza, l'albero, del resto ormai cancellato dai secoli, in occasioni di questi riti veniva sostituito di volta in volta con un robusto tronco che veniva piantato nel terreno.
Si legavano alla sua cima lunghi nastri colorati che venivano tenuti in mano da uomini e donne che danzavano lentamente. Tra canti e musiche, intorno al palo, i danzatori ballavano in cerchio fino ad intrecciare i nastri, suggerendo la formazione delle coppie e la fortuna dei convenuti.
Dopo la sanguinosa pulizia etnica attuata nel 1200 dalla Chiesa del tempo nei confronti dei Catari che dimoravano nell'area del nord del Piemonte, alcune "Famiglie Celtiche" continuarono a praticare l'antico rito riparati nel folto della grande foresta che ricopriva il luogo sacro da loro utilizzato.
Oggi, nell’area dove anticamente veniva piantato l’albero, sorge un grande Stone Circle, un cerchio di pietre che simboleggia la continuità delle tradizioni autoctone d’Europa.
Tradizioni che celebrano il rispetto per la vita, l’amore per tutte le creature, l’armonia con Madre Terra. Un invito a celebrare San Valentino secondo l’antico significato, godendo della reciproca amicizia e arricchendoci con l’amore che possiamo dare e ricevere, senza esclusioni per nessuno.

lunedì 30 gennaio 2012

Social Net-Trap


Sono anch’io su Facebook come milioni di altre persone, ormai sarebbe perfino sospetto non esserci. Potrebbero accusarti di fare lo snob, o di essere asociale. Un po’ asociale lo sono, ma non voglio rendere pubblica questa mia attitudine: nell’era dei social network è più notata l’assenza che la presenza, e così mi adeguo...
E poi non vorrei incorrere in qualche spiacevole inconveniente, come è capitato a quel signore inglese che si è visto arrivare la polizia in casa perchè il fatto che non fosse su Facebook destava sospetti.
Intendiamoci: non faccio parte di quella categoria che vede nel computer una diavoleria. Posso a buon diritto vantarmi di essere stata la prima, tra i miei amici, a buttarmi nell’avventura di internet e di averci trascinato tutti gli altri, e la stessa cosa è avvenuta per Second Life. Non sono d’accordo con chi sostiene che passare troppo tempo al computer distoglie dalla realtà: ma quale realtà? La realtà è sempre e comunque virtuale, sia davanti a un computer che in un bar. E’ un film proiettato nel nostro cervello. E i rapporti umani sono soggetti sempre alle stesse regole, sia che ci si incontri attraverso un computer o in un pub.
Ma verso i social network, e soprattutto verso “quel” social network che ha sbaragliato tutti gli altri, provo sentimenti contrastanti. Da un lato trovo sacrosanto il loro utilizzo per diffondere notizie utili, segnalazioni e quant’altro. La globalizzazione, checché se ne dica, produce molti effetti positivi, basti pensare a un caso, fra tanti: il ruolo che ha avuto FB nell’evitare la lapidazione dell’iraniana Sakineh.
D’altro canto sto arrivando ad una idiosincrasia per tutti i commenti inutili quando non idioti che invadono il desktop appena ci si collega. Sapere che Tizio ha appena fatto colazione, o che Caio sta andando a dormire, mi fa venire un attacco allergico. A leggere le melenserie di quanti si dichiarano  pubblicamente amore eterno, mi compaiono le squame e divento tutta verde. Per non parlare delle migliaia di guru che inondano tutti di massime illuminate e grandi verità... mi crescono i peli e mi metto a ululare.
Su FB ho circa 3.700 amici: ebbene sì, lo confesso, non sono capace di dire di no, mi sembra poco gentile. Con il risultato che ora so cosa fanno 3.700 persone nell’arco della loro giornata, quando vanno a mangiare e a dormire, cosa mangiano a colazione, cosa stanno facendo in quel momento in ufficio. Ok, sto esagerando: per fortuna molti di loro sono persone discrete che usano FB per diffondere solo notizie utili.
Facebook rivela un male sociale del nostro tempo: la solitudine. Milioni di persone sole, che si illudono di essere meno sole comunicando con degli sconosciuti. Le amicizie su FB nascono e muoiono nell’arco di un giorno. Amicizie, se si può usare questo termine, totalmente fasulle, impostate sulle reciproche gratificazioni e sull’esibizionismo, rapporti in cui ognuno mostra un se stesso che non corrisponde alla realtà. Lo so, questo succede anche nella vita di tutti i giorni. Ma su FB la falsità dei rapporti umani è esaltata al cubo. Avere centinaia di amici su FB con cui relazionarsi fa sentire “fighi” e ci si illude di contare qualcosa per qualcuno, nascondendosi in un mondo virtuale che apparentemente protegge dalle delusioni.
Quello di cui molti non sembrano rendersi conto è che Facebook è un enorme schedario in cui rimangono permanentemente tutti i dati che vengono inseriti. Orientamento sessuale, convinzioni politiche, credo religioso, abitudini, tutte informazioni che spesso finiscono sul profilo e che possono essere usate contro gli stessi utenti. Un Grande Fratello che ci spia, registra tutto e non dimentica niente. Ogni foto messa online, ogni aggiornamento del proprio stato, post o blog rimangono nell’archivio permanente del web.
Una ragazza inglese è stata licenziata per aver scritto su Facebook, in orario lavorativo “Mi sto annoiando”. Ad uno psicoterapeuta canadese è stato impedito l’ingresso negli Stati Uniti ed è stato bandito dal paese quando alla frontiera si è scoperto, tramite Facebook, che aveva scritto un articolo su un esperimento fatto 30 anni prima con Lsd.
Facebook è usato dalle aziende per valutare il curriculum dei candidati, controllando le loro bacheche e i loro profili, e spesso i candidati vengono respinti sulla base della valutazione delle loro conversazioni sulle bacheche, o per le appartenenze a gruppi, oppure semplicemente per foto che non erano gradite. Anche cambiare troppo spesso il profilo è stato motivo di non accettazione, poichè l’azienda interessata ha  ritenuto che il candidato passasse troppo tempo sul social network. Secondo un’indagine condotta dalla Microsoft, il 75% delle aziende usa Facebook per fare ricerche online sui candidati setacciando tutte le informazioni presenti e passate.
Recentemente è comparso un articolo su L'Espresso che affermava che i dirigenti della Polizia postale italiana si sarebbero recati a Palo Alto, in California, per firmare un patto di collaborazione con Facebook allo scopo di farsi consegnare il passepartout per i profili degli utenti.
E il bello è che tutti corriamo ad auto-schedarci, dando più informazioni possibili su di noi, in preda  all’edonismo e all’esibizionismo, valori supremi di questo XXI secolo appena iniziato, collaborando senza volerne prendere coscienza a questa grande schedatura che restringe sempre di più i confini della vera privacy. La piazza di Facebook, dove tutti sanno tutto di tutti, è talmente pubblica ed esibita che non c’è nemmeno più il gusto della scoperta, del rivelarsi poco a poco.
Un meccanismo perverso che tutti noi alimentiamo continuamente. C’è da chiedersi come abbia fatto Mark Zuckerberg, che dalla faccia non sembra proprio una cima (ma l’apparenza, su FB,  evidentemente inganna anche nel senso contrario), a creare una trappola così complessa nella sua banalità.
Secondo i cospirazionisti della teoria del complotto, la CIA avrebbe investito su Facebook più di 40 milioni di dollari per contribuire allo sviluppo del social network. La grande propaganda creata intorno a FB ha fatto sì che il portale diventasse un sinonimo di successo sociale, di popolarità e di buoni affari. Facebook è presentato come un innocuo sito web di reti sociali che facilita i rapporti interpersonali, e con questo modo friendly, basato sull’understatement, ha sorpassato tutta la concorrenza e polverizzato qualsiasi tentativo di imitazione, superando oggi gli  800 milioni di utenti nel mondo. 800 milioni di persone che consegnano la loro vita a questo grande archivio globale.
Le ultime novità di Facebook sono la Timeline, i nuovi profili e il servizio per la condivisione multimediale. Mark Zuckerberg, dal palco del recente F8, la conferenza annuale di Facebook, ne ha parlato annunciando l’avvento di una social-rivoluzione, ma nessuno ha pensato di precisare che questo maxi aggiornamento portava con sé una nuova minaccia alla privacy: Facebook ti controlla anche quando ti sei disconnesso. C’è chi ha scoperto che l’introduzione della nuova piattaforma Open Graph 2.0, necessaria per sviluppare applicazioni in grado di interagire con la nuova Timeline, nasconde una sgradita sorpresa: dei cookie traccianti che continuano a raccogliere informazioni su quello che facciamo online anche quando ci siamo disconnessi da Facebook. Il Global-Archivio si potenzierà sempre di più e c’è da augurarsi che non arrivi a prendere coscienza di se stesso, come l’Hal di “Odissea nello spazio”...
Tutti schedati, quindi? Pazienza. Chi non avrà nulla da nascondere non se ne farà un problema. Rimane il fatto che la furiosa “condivisione” a cui si è continuamente sottoposti e sospinti, in primis dai prodotti Apple che (pur inchinandomi alla memoria del guru Jobs) sembrano essere “nati per condividere”, dà l’impressione di non essere altro che un modo per incasellarci tutti quanti, come polli nelle stie, per essere accuratamente controllati e usati al meglio secondo i criteri della società produttiva.
E come polli nelle stie, non ci rimane molto altro da fare oltre che pigolare tutto il giorno. Considerando che sinonimi di “pigolare” sono “cinguettare, frignare, lamentarsi, piagnucolare”, attitudini rese molto bene dal nome che ha scelto il temibile concorrente di Facebook, twitter, rassegnamoci e continuiamo a frignare e piagnucolare per il resto della nostra vita, certi che qualcuno raccoglierà le nostre esternazioni e accuratamente le archivierà (compresa questa mia lamentela) nel Grande Archivio Galattico del nostro Social Net-Trap.

martedì 3 gennaio 2012

Chi ci ha scippato il Natale?

La festa più celebrata dell’anno, quella che comunemente viene chiamata “Natale”, è forse anche una delle più incomprensibili e più slegate dal nostro contesto quotidiano. A Natale tutti ci sentiamo più pronti ad essere disponibili, tolleranti, buoni e pietosi. Ci scambiamo regali, ci ricordiamo improvvisamente di persone che per tutto il resto dell’anno possono tranquillamente andare in malora senza che ce ne accorgiamo. Le famiglie sentono il bisogno di radunarsi intorno ad una tavola imbandita e di mostrarsi unite e felici.
Si corre alla messa di mezzanotte anche se non si è entrati in una chiesa per tutto l’anno. Ci si scopre mistici per una sera, si cerca di fare in una giornata quello che non si è fatto per un anno intero.
Ma tutto questo, perchè?
In virtù della ricorrenza della nascita di un personaggio che non ha riscontri storici accertati? Di un simbolo che sembra lontano anni luce dai bisogni effettivi dell’individuo?
Non possiamo negare che in questi giorni si avverta una magia particolare. Il cielo sembra più zeppo di stelle che mai, e se per un caso fortuito arriva in tempo anche la neve, si rimane incantati e per un attimo si gusta il silenzio.
E’ il momento in cui si fanno bilanci, si esprimono buoni propositi per il nuovo ciclo alle porte, sembra che da una misteriosa porticina venga fuori la “Speranza” e ci dispensi un po’ della sua positività.
Eppure non capiamo il perchè di questo stato d’animo generalizzato.
Semplice: non lo capiamo perchè nessuno ci ha aiutato a capirlo.
Se ci spostiamo solo un po’ di latitudine geografica, e andiamo più a Nord, scopriamo che questa festa viene conosciuta con il nome di Yule. Yule, l’antica celebrazione celtica.
E tutto appare più chiaro, perfino la enigmatica figura di Babbo Natale trova il suo posto e la sua spiegazione.
Nelle tradizioni nordiche, in questo periodo si celebra l'arrivo degli antichi Iniziatori della tradizione druidica sulla Terra. Il ricordo della caduta delle pietre celesti che mutarono il destino del pianeta e dell’umanità. Mito che viene ricordato ancora oggi nelle leggende irlandesi dei Tuatha de Danann e dei mitici Ard-Rì, i primi re d’Irlanda che fondarono la Nuova Terra.
Visto in questa chiave, il Solstizio d’Inverno assume tutto un altro significato. Diventa più chiaro il motivo per cui questo periodo dell’anno sembra evocare ricordi ancestrali e uno strano senso di appartenenza ad una dimensione diversa da quella quotidiana.
Il Solstizio d’Inverno è stato cooptato dalla tradizione cristiana e trasformato nella ricorrenza della nascita del Cristo, ma in realtà ha radici molto più antiche e si riferisce ad una ricorrenza celebrata da tutti i Popoli naturali del pianeta. In epoche precedenti al cristianesimo, l’antico culto del Mithraismo celebrava il Sol Invicto, il Sole che emerge dalle tenebre. Mithra, il Sol Invicto, nasceva da una madre vergine il 25 dicembre in una grotta e l’evento era annunciato da una stella cometa. Si direbbe che il mito cristiano non brilli di originalità.
Nei paesi celtici si celebra Yule, una festa che rievoca il mito del Graal: secondo le leggende, in questo momento particolare dell’anno, anticamente sarebbe stato fatto un grande dono all’umanità, quel dono che nelle tradizioni celtiche viene identificato con il Graal, simbolo di conoscenza e di ricchezza interiore. Yule inizia con il Solstizio d’Inverno ma si protrae fino al 6 gennaio, un intero periodo in cui secondo le antiche tradizioni possono comparire nel cielo i “segni” che daranno indicazioni per l’anno a venire.
Fra i simboli moderni del Natale cooptati dall’antica festa pagana, oltre alla figura di Babbo Natale, compare l'uso decorativo del vischio e dell'agrifoglio e l'albero di Natale.
Di questo mitico dono disceso dal cielo si parla ad esempio non solo nella leggenda celtica dei Tuatha de Danann, o nel mito persiano di Mithra, ma anche nelle leggende Hopi.
Il mito del Graal sembra far trasparire un evento ricordato da tutte le tradizioni del pianeta: una misteriosa conoscenza pervenuta sulla Terra in epoche remote. Il mito è riportato da Platone come la caduta di Fetonte e del suo carro celeste sulla Terra in epoche arcaiche, avvenuta nella zona dove si incrociano due fiumi e identificata nell’area dove oggi sorge la città di Torino. Il mito è ricordato dai popoli autoctoni delle terre del Piemonte come un dono ricevuto da una antica Conoscenza proveniente dal Cielo. Un "dono" fatto all’umanità da esseri misteriosi.
Anche la leggenda di Babbo Natale, enigmatica e misteriosa, assume un significato più chiaro: rappresenta il “dono” fatto all’umanità in un’era arcaica da esseri provenienti da un’altra dimensione.
Babbo Natale è una figura presente in molte culture, non solo della civiltà occidentale, ma anche in  America latina, in Giappone ed in altre parti dell'Asia orientale. Il suo ruolo è sempre quello di distribuire doni. Nella tradizione nordica rappresenta, in pratica, la discesa del Graal sulla Terra. Da notare che il Graal, nella sua forma più antica, è simboleggiato da una grande pietra verde, uno smeraldo; analogamente, la figura di Babbo Natale, nelle leggende originali, non indossa un vestito rosso, bensì verde.
La celebrazione dei Solstizi e degli Equinozi fa parte del bagaglio ancestrale dell’umanità ed è un’usanza che accomuna i Celti ai Nativi americani e a tutti i popoli nativi.
Il Solstizio d’Inverno, in particolare, è simbolo di rinnovamento e rinascita, e può rappresentare un’occasione di riflessione e rinnovamento personale.
Riscoprire il vero significato di questa festa significa forse dare un senso al bisogno di una nostra dimensione più intima e individuale, e di vivere un rapporto più vero con gli altri. Esigenze che in questo periodo dell’anno sembrano farsi più pressanti.