lunedì 30 gennaio 2012

Social Net-Trap


Sono anch’io su Facebook come milioni di altre persone, ormai sarebbe perfino sospetto non esserci. Potrebbero accusarti di fare lo snob, o di essere asociale. Un po’ asociale lo sono, ma non voglio rendere pubblica questa mia attitudine: nell’era dei social network è più notata l’assenza che la presenza, e così mi adeguo...
E poi non vorrei incorrere in qualche spiacevole inconveniente, come è capitato a quel signore inglese che si è visto arrivare la polizia in casa perchè il fatto che non fosse su Facebook destava sospetti.
Intendiamoci: non faccio parte di quella categoria che vede nel computer una diavoleria. Posso a buon diritto vantarmi di essere stata la prima, tra i miei amici, a buttarmi nell’avventura di internet e di averci trascinato tutti gli altri, e la stessa cosa è avvenuta per Second Life. Non sono d’accordo con chi sostiene che passare troppo tempo al computer distoglie dalla realtà: ma quale realtà? La realtà è sempre e comunque virtuale, sia davanti a un computer che in un bar. E’ un film proiettato nel nostro cervello. E i rapporti umani sono soggetti sempre alle stesse regole, sia che ci si incontri attraverso un computer o in un pub.
Ma verso i social network, e soprattutto verso “quel” social network che ha sbaragliato tutti gli altri, provo sentimenti contrastanti. Da un lato trovo sacrosanto il loro utilizzo per diffondere notizie utili, segnalazioni e quant’altro. La globalizzazione, checché se ne dica, produce molti effetti positivi, basti pensare a un caso, fra tanti: il ruolo che ha avuto FB nell’evitare la lapidazione dell’iraniana Sakineh.
D’altro canto sto arrivando ad una idiosincrasia per tutti i commenti inutili quando non idioti che invadono il desktop appena ci si collega. Sapere che Tizio ha appena fatto colazione, o che Caio sta andando a dormire, mi fa venire un attacco allergico. A leggere le melenserie di quanti si dichiarano  pubblicamente amore eterno, mi compaiono le squame e divento tutta verde. Per non parlare delle migliaia di guru che inondano tutti di massime illuminate e grandi verità... mi crescono i peli e mi metto a ululare.
Su FB ho circa 3.700 amici: ebbene sì, lo confesso, non sono capace di dire di no, mi sembra poco gentile. Con il risultato che ora so cosa fanno 3.700 persone nell’arco della loro giornata, quando vanno a mangiare e a dormire, cosa mangiano a colazione, cosa stanno facendo in quel momento in ufficio. Ok, sto esagerando: per fortuna molti di loro sono persone discrete che usano FB per diffondere solo notizie utili.
Facebook rivela un male sociale del nostro tempo: la solitudine. Milioni di persone sole, che si illudono di essere meno sole comunicando con degli sconosciuti. Le amicizie su FB nascono e muoiono nell’arco di un giorno. Amicizie, se si può usare questo termine, totalmente fasulle, impostate sulle reciproche gratificazioni e sull’esibizionismo, rapporti in cui ognuno mostra un se stesso che non corrisponde alla realtà. Lo so, questo succede anche nella vita di tutti i giorni. Ma su FB la falsità dei rapporti umani è esaltata al cubo. Avere centinaia di amici su FB con cui relazionarsi fa sentire “fighi” e ci si illude di contare qualcosa per qualcuno, nascondendosi in un mondo virtuale che apparentemente protegge dalle delusioni.
Quello di cui molti non sembrano rendersi conto è che Facebook è un enorme schedario in cui rimangono permanentemente tutti i dati che vengono inseriti. Orientamento sessuale, convinzioni politiche, credo religioso, abitudini, tutte informazioni che spesso finiscono sul profilo e che possono essere usate contro gli stessi utenti. Un Grande Fratello che ci spia, registra tutto e non dimentica niente. Ogni foto messa online, ogni aggiornamento del proprio stato, post o blog rimangono nell’archivio permanente del web.
Una ragazza inglese è stata licenziata per aver scritto su Facebook, in orario lavorativo “Mi sto annoiando”. Ad uno psicoterapeuta canadese è stato impedito l’ingresso negli Stati Uniti ed è stato bandito dal paese quando alla frontiera si è scoperto, tramite Facebook, che aveva scritto un articolo su un esperimento fatto 30 anni prima con Lsd.
Facebook è usato dalle aziende per valutare il curriculum dei candidati, controllando le loro bacheche e i loro profili, e spesso i candidati vengono respinti sulla base della valutazione delle loro conversazioni sulle bacheche, o per le appartenenze a gruppi, oppure semplicemente per foto che non erano gradite. Anche cambiare troppo spesso il profilo è stato motivo di non accettazione, poichè l’azienda interessata ha  ritenuto che il candidato passasse troppo tempo sul social network. Secondo un’indagine condotta dalla Microsoft, il 75% delle aziende usa Facebook per fare ricerche online sui candidati setacciando tutte le informazioni presenti e passate.
Recentemente è comparso un articolo su L'Espresso che affermava che i dirigenti della Polizia postale italiana si sarebbero recati a Palo Alto, in California, per firmare un patto di collaborazione con Facebook allo scopo di farsi consegnare il passepartout per i profili degli utenti.
E il bello è che tutti corriamo ad auto-schedarci, dando più informazioni possibili su di noi, in preda  all’edonismo e all’esibizionismo, valori supremi di questo XXI secolo appena iniziato, collaborando senza volerne prendere coscienza a questa grande schedatura che restringe sempre di più i confini della vera privacy. La piazza di Facebook, dove tutti sanno tutto di tutti, è talmente pubblica ed esibita che non c’è nemmeno più il gusto della scoperta, del rivelarsi poco a poco.
Un meccanismo perverso che tutti noi alimentiamo continuamente. C’è da chiedersi come abbia fatto Mark Zuckerberg, che dalla faccia non sembra proprio una cima (ma l’apparenza, su FB,  evidentemente inganna anche nel senso contrario), a creare una trappola così complessa nella sua banalità.
Secondo i cospirazionisti della teoria del complotto, la CIA avrebbe investito su Facebook più di 40 milioni di dollari per contribuire allo sviluppo del social network. La grande propaganda creata intorno a FB ha fatto sì che il portale diventasse un sinonimo di successo sociale, di popolarità e di buoni affari. Facebook è presentato come un innocuo sito web di reti sociali che facilita i rapporti interpersonali, e con questo modo friendly, basato sull’understatement, ha sorpassato tutta la concorrenza e polverizzato qualsiasi tentativo di imitazione, superando oggi gli  800 milioni di utenti nel mondo. 800 milioni di persone che consegnano la loro vita a questo grande archivio globale.
Le ultime novità di Facebook sono la Timeline, i nuovi profili e il servizio per la condivisione multimediale. Mark Zuckerberg, dal palco del recente F8, la conferenza annuale di Facebook, ne ha parlato annunciando l’avvento di una social-rivoluzione, ma nessuno ha pensato di precisare che questo maxi aggiornamento portava con sé una nuova minaccia alla privacy: Facebook ti controlla anche quando ti sei disconnesso. C’è chi ha scoperto che l’introduzione della nuova piattaforma Open Graph 2.0, necessaria per sviluppare applicazioni in grado di interagire con la nuova Timeline, nasconde una sgradita sorpresa: dei cookie traccianti che continuano a raccogliere informazioni su quello che facciamo online anche quando ci siamo disconnessi da Facebook. Il Global-Archivio si potenzierà sempre di più e c’è da augurarsi che non arrivi a prendere coscienza di se stesso, come l’Hal di “Odissea nello spazio”...
Tutti schedati, quindi? Pazienza. Chi non avrà nulla da nascondere non se ne farà un problema. Rimane il fatto che la furiosa “condivisione” a cui si è continuamente sottoposti e sospinti, in primis dai prodotti Apple che (pur inchinandomi alla memoria del guru Jobs) sembrano essere “nati per condividere”, dà l’impressione di non essere altro che un modo per incasellarci tutti quanti, come polli nelle stie, per essere accuratamente controllati e usati al meglio secondo i criteri della società produttiva.
E come polli nelle stie, non ci rimane molto altro da fare oltre che pigolare tutto il giorno. Considerando che sinonimi di “pigolare” sono “cinguettare, frignare, lamentarsi, piagnucolare”, attitudini rese molto bene dal nome che ha scelto il temibile concorrente di Facebook, twitter, rassegnamoci e continuiamo a frignare e piagnucolare per il resto della nostra vita, certi che qualcuno raccoglierà le nostre esternazioni e accuratamente le archivierà (compresa questa mia lamentela) nel Grande Archivio Galattico del nostro Social Net-Trap.

martedì 3 gennaio 2012

Chi ci ha scippato il Natale?

La festa più celebrata dell’anno, quella che comunemente viene chiamata “Natale”, è forse anche una delle più incomprensibili e più slegate dal nostro contesto quotidiano. A Natale tutti ci sentiamo più pronti ad essere disponibili, tolleranti, buoni e pietosi. Ci scambiamo regali, ci ricordiamo improvvisamente di persone che per tutto il resto dell’anno possono tranquillamente andare in malora senza che ce ne accorgiamo. Le famiglie sentono il bisogno di radunarsi intorno ad una tavola imbandita e di mostrarsi unite e felici.
Si corre alla messa di mezzanotte anche se non si è entrati in una chiesa per tutto l’anno. Ci si scopre mistici per una sera, si cerca di fare in una giornata quello che non si è fatto per un anno intero.
Ma tutto questo, perchè?
In virtù della ricorrenza della nascita di un personaggio che non ha riscontri storici accertati? Di un simbolo che sembra lontano anni luce dai bisogni effettivi dell’individuo?
Non possiamo negare che in questi giorni si avverta una magia particolare. Il cielo sembra più zeppo di stelle che mai, e se per un caso fortuito arriva in tempo anche la neve, si rimane incantati e per un attimo si gusta il silenzio.
E’ il momento in cui si fanno bilanci, si esprimono buoni propositi per il nuovo ciclo alle porte, sembra che da una misteriosa porticina venga fuori la “Speranza” e ci dispensi un po’ della sua positività.
Eppure non capiamo il perchè di questo stato d’animo generalizzato.
Semplice: non lo capiamo perchè nessuno ci ha aiutato a capirlo.
Se ci spostiamo solo un po’ di latitudine geografica, e andiamo più a Nord, scopriamo che questa festa viene conosciuta con il nome di Yule. Yule, l’antica celebrazione celtica.
E tutto appare più chiaro, perfino la enigmatica figura di Babbo Natale trova il suo posto e la sua spiegazione.
Nelle tradizioni nordiche, in questo periodo si celebra l'arrivo degli antichi Iniziatori della tradizione druidica sulla Terra. Il ricordo della caduta delle pietre celesti che mutarono il destino del pianeta e dell’umanità. Mito che viene ricordato ancora oggi nelle leggende irlandesi dei Tuatha de Danann e dei mitici Ard-Rì, i primi re d’Irlanda che fondarono la Nuova Terra.
Visto in questa chiave, il Solstizio d’Inverno assume tutto un altro significato. Diventa più chiaro il motivo per cui questo periodo dell’anno sembra evocare ricordi ancestrali e uno strano senso di appartenenza ad una dimensione diversa da quella quotidiana.
Il Solstizio d’Inverno è stato cooptato dalla tradizione cristiana e trasformato nella ricorrenza della nascita del Cristo, ma in realtà ha radici molto più antiche e si riferisce ad una ricorrenza celebrata da tutti i Popoli naturali del pianeta. In epoche precedenti al cristianesimo, l’antico culto del Mithraismo celebrava il Sol Invicto, il Sole che emerge dalle tenebre. Mithra, il Sol Invicto, nasceva da una madre vergine il 25 dicembre in una grotta e l’evento era annunciato da una stella cometa. Si direbbe che il mito cristiano non brilli di originalità.
Nei paesi celtici si celebra Yule, una festa che rievoca il mito del Graal: secondo le leggende, in questo momento particolare dell’anno, anticamente sarebbe stato fatto un grande dono all’umanità, quel dono che nelle tradizioni celtiche viene identificato con il Graal, simbolo di conoscenza e di ricchezza interiore. Yule inizia con il Solstizio d’Inverno ma si protrae fino al 6 gennaio, un intero periodo in cui secondo le antiche tradizioni possono comparire nel cielo i “segni” che daranno indicazioni per l’anno a venire.
Fra i simboli moderni del Natale cooptati dall’antica festa pagana, oltre alla figura di Babbo Natale, compare l'uso decorativo del vischio e dell'agrifoglio e l'albero di Natale.
Di questo mitico dono disceso dal cielo si parla ad esempio non solo nella leggenda celtica dei Tuatha de Danann, o nel mito persiano di Mithra, ma anche nelle leggende Hopi.
Il mito del Graal sembra far trasparire un evento ricordato da tutte le tradizioni del pianeta: una misteriosa conoscenza pervenuta sulla Terra in epoche remote. Il mito è riportato da Platone come la caduta di Fetonte e del suo carro celeste sulla Terra in epoche arcaiche, avvenuta nella zona dove si incrociano due fiumi e identificata nell’area dove oggi sorge la città di Torino. Il mito è ricordato dai popoli autoctoni delle terre del Piemonte come un dono ricevuto da una antica Conoscenza proveniente dal Cielo. Un "dono" fatto all’umanità da esseri misteriosi.
Anche la leggenda di Babbo Natale, enigmatica e misteriosa, assume un significato più chiaro: rappresenta il “dono” fatto all’umanità in un’era arcaica da esseri provenienti da un’altra dimensione.
Babbo Natale è una figura presente in molte culture, non solo della civiltà occidentale, ma anche in  America latina, in Giappone ed in altre parti dell'Asia orientale. Il suo ruolo è sempre quello di distribuire doni. Nella tradizione nordica rappresenta, in pratica, la discesa del Graal sulla Terra. Da notare che il Graal, nella sua forma più antica, è simboleggiato da una grande pietra verde, uno smeraldo; analogamente, la figura di Babbo Natale, nelle leggende originali, non indossa un vestito rosso, bensì verde.
La celebrazione dei Solstizi e degli Equinozi fa parte del bagaglio ancestrale dell’umanità ed è un’usanza che accomuna i Celti ai Nativi americani e a tutti i popoli nativi.
Il Solstizio d’Inverno, in particolare, è simbolo di rinnovamento e rinascita, e può rappresentare un’occasione di riflessione e rinnovamento personale.
Riscoprire il vero significato di questa festa significa forse dare un senso al bisogno di una nostra dimensione più intima e individuale, e di vivere un rapporto più vero con gli altri. Esigenze che in questo periodo dell’anno sembrano farsi più pressanti.