domenica 10 luglio 2011

ONU: inizia un’altra avventura per gli Indigenous Peoples


Sta per iniziare all’ONU di Ginevra la sessione dei lavori dell’ “Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples”. Io e Giancarlo siamo stati invitati a partecipare in rappresentanza della Ecospirituality Foundation, insieme alla nostra delegazione.
So già che sarà una settimana intensa, senza un attimo di respiro, ma so anche che sarà densa di esperienze e di incontri interessanti.
Saremo presenti anche per portare avanti le istanze delle Comunità che rappresentiamo: Apache Survival Coalition, Wiran Aboriginal Corporation, Bassa People, Menhir Libres, Ensemble Allons dans la Paix. Comunità di diversi continenti che hanno in comune il problema dei luoghi sacri profanati.
Più di 370 milione di persone indigene, sparse in 90 Paesi di tutti i continenti, costituiscono oggi quelle culture che non si riconoscono nella società maggioritaria. Culture che mantengono le loro tradizioni e le loro conoscenze ancestrali, nonostante l’opera di colonizzazione che ha teso a polverizzarle. La società maggioritaria, disegnata dalle grandi religioni, ha costruito una storia in cui non c’è apparentemente spazio per le culture autoctone, le quali sono confinate in riserve e sacche storiche con l’unica prospettiva di una esitinzione totale.
Eppure queste culture, non solo non si sono estinte, ma sono progredite portando avanti il loro lavoro di conservazione delle antiche tradizioni, e oggi costituiscono una realtà storica che non può più passare inosservata.
I Popoli indigeni, che si autodefiniscono “Popoli Naturali” per via del loro rapporto primario con la Natura, mantengono caratteristiche sociali, culturali, economiche e politiche che li caratterizzano e li differenziano dalle società dominanti.  In tutto il mondo esistono Popoli autoctoni le cui tradizioni, le loro terre, le loro risorse e i loro luoghi sacri sono stati violati e profanati.
Nonostante le loro differenze culturali, le Nazioni indigene manifestano una unicità culturale, basata sul comune rapporto con Madre Terra, intesa come la depositaria di un grande mistero. La loro spiritualità non passa da profeti e religioni, ma da un rapporto diretto e prioritario con la Natura, rapporto che crea la loro specificità. Un altro forte elemento in comune è la condivisione di problemi riferiti alla protezione dei loro diritti.
Negli ultimi decenni, le Nazioni Unite hanno costituito uno strumento basilare per la sopravvivenza di queste culture. All’interno dell’ONU sono stati fatti dei passi significativi che hanno portato ad una presa di coscienza del problema indigeno, fino ad arrivare alla Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni approvata dall’ONU nel settembre 2007.
La Ecospirituality Foundation ha partecipato attivamente al lavoro decennale della stesura della Carta dei Diritti, che si è svolto nei Working Groups di Ginevra e nei Forum di New York, soprattutto per quanto riguarda il tema della difesa delle tradizioni e dei luoghi sacri. Un dibattito costruttivo che ha portato ad inserire nella Carta i principi relativi ai diritti ad una identità nativa:
"I popoli indigeni hanno il diritto di praticare e di rivitalizzare i propri costumi e tradizioni culturali.
Hanno il diritto di conservare, proteggere e sviluppare le manifestazioni passate, presenti e future della loro cultura, in particolare i siti archeologici e storici, l'artigianato, i riti, le tecniche, le arti, lo spettacolo e la letteratura. I popoli autoctoni hanno il diritto di manifestare, praticare, promuovere ed insegnare le loro tradizioni, costumi e riti religiosi e spirituali; il diritto di conservare e di proteggere i loro siti religiosi e culturali e di averne accesso privato; il diritto di utilizzare i loro oggetti rituali e di  poterne disporre; il diritto al rimpatrio dei resti umani dei loro antenati. I popoli autoctoni hanno il diritto di ravvivare, di utilizzare, di sviluppare e di trasmettere la loro storia, la loro lingua, le loro tradizioni orali alle generazioni future, così come la loro filosofia, il loro sistema di scrittura e la loro letteratura, e di scegliere e di conservare i loro propri nomi per le comunità, i luoghi e le persone." (dalla UN Declaration on the Rights of Indigenous Peoples).
Il Consiglio per i Diritti Umani ha svolto un ruolo decisivo in questo processo, in quanto la Carta dei Diritti è stata per anni una priorità nel suo lavoro. Dopo l’approvazione della Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni, il Consiglio per i Diritti Umani ha varato un’altra importante iniziativa: l’ “Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples”, la Commissione di Esperti per i Popoli Indigeni, costituita da rappresentanti Nativi, che ha lo scopo di studiare i meccanismi di tutela e di messa in pratica della Carta dei Diritti.
Il rapporto tra i Popoli Indigeni e le Nazioni Unite parte da lontano.
Nel 1923, Haudenosaunee Deskaheh, capo degli Irochesi, si recò a Ginevra per parlare alla Lega delle Nazioni (la prima forma di Nazioni Unite). La sua visita aveva lo scopo di rivendicare  il diritto della sua gente a vivere le loro proprie leggi, sulla propria terra e di manifestare le proprie tradizioni. Anche se gli non fu permesso di parlare, la sua azione fu un riferimento per le generazioni successive.
Nel 1925 il suo esempio fu seguito da un leader Maori, T.W. Ratana. Ratana dapprima si recò a Londra con una vasta delegazione per contestare presso Re Giorgio V  la rottura del Trattato di Waitangi stilato con i Maori in Nuova Zelanda nel 1840 che assegnava ai Maori le loro terre. Ma non fu ricevuto a corte. Ratana partì quindi per Ginevra con la sua delegazione per parlare alla Lega delle Nazioni, ma anche qui gli fu negato l’accesso.
Da quei primi tentativi di rapporto, le Nazioni Unite hanno sviluppato nel tempo una serie di iniziative volte a dare ai Nativi la dignità e il diritto a partecipare alla pari alla comunità umana.
Josè Martinez Cobo, Special Rapporteur dell'ONU, diede un contributo decisivo al ruolo che i Nativi avrebbero assunto nella storia, sviluppando tra il 1981 e il 1984 uno studio in cinque volumi sull’identità nativa. Lo studio di Cobo portò a una definizione della Comunità nativa che costituì una base di trattativa  tra i Popoli naturali e le società dominanti.
Josè Martinez Cobo, nel suo trattato, definisce così le culture native:
"Per Comunità, popoli e nazioni autoctone, bisogna intendere coloro che, legati ad una continuità storica con le società anteriori all'invasione e con le società precoloniali che si sono sviluppate sui loro territori, si giudicano distinti dagli altri elementi delle società che dominano attualmente sui loro territori o parte di questi territori.
Questi sono attualmente degli elementi non dominanti della società e sono determinati a conservare, sviluppare e a trasmettere alle generazioni future i territori dei loro antenati e la loro identità etnica che costituisce la base della loro esistenza in quanto popolo, in conformità ai loro propri modelli culturali, alle loro istituzioni sociali e al loro sistema giuridico.
Questa continuità storica può consistere nell'occupare terre ancestrali, nell'avere antenati comuni, una cultura e una lingua in comune, o tradursi a mezzo di altri fattori pertinenti.
Individualmente, un nativo, è una persona che appartiene a un simile gruppo o che è accettato dal suddetto gruppo."
Nel 1989 Ted Moses, Capo del Gran Consiglio del Crees in Canada, fu la prima persona indigena  eletta ad una riunione ONU per discutere gli effetti della discriminazione razziale e la situazione economica dei Popoli Indigeni. Da allora sono sempre aumentate di numero le persone Native a capo di uffici e di riunioni  riferite alle questioni indigene.
Centinaia di rappresentanti Nativi parteciparono attivamente alla seconda Conferenza Mondiale sui  Diritti Umani di Vienna nel giugno 1993. Quello era anche l'Anno Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo. La Conferenza riconobbe la responsabilità degli Stati membri dell’ONU di  rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali dei Popoli Indigeni e indirizzò l’Assemblea dell’ONU verso un Forum permanente per le questioni indigene.
I passi delle Nazioni Unite, per assicurare ai Popoli Indigeni lo status che compete loro, sono stati numerosi, a cominciare dal Working Group on Indigenous Populations, nato come una sub-commissione della Commissione per i Diritti Umani di Ginevra.
Il lavoro ventennale del Working Group on Indigenous Populations è stato decisivo per la stesura della Carta dei Diritti, ed ha portato ad altri importanti passi, come il varo del Forum Permanente sulle Questioni Indigene che si tiene ogni anno a New York e che è diventata l’assemblea più vasta delle Nazioni Unite, con più di 3.000 partecipanti tra delegati Nativi di tutti i continenti e rappresentanti dei governi di tutto il pianeta.
Altre iniziative sono state varate dalle Nazioni Unite in favore degli Indigenous Peoples, come la Prima e la Seconda Decade  dei Popoli Indigeni di tutto il mondo, dove si sono affrontati problemi come cultura, istruzione, salute, diritti umani, ambiente e sviluppo sociale ed economico dei Nativi.
A seguito dell’adozione da parte dell’ONU della Carta dei Diritti, molte cose stanno cambiando nel mondo. Il Canada, gli USA, l’Australia hanno compiuto azioni simboliche come il “Sorry Day” australiano e altre meno simboliche e più consistenti come il recente indennizzo degli Stati Uniti ai Nativi, con un rimborso record di 3,4 miliardi di dollari da parte del governo di Washington per aver sprecato risorse, tra cui terreni, destinate agli indiani d'America.
L’ente denominato “Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples”, letteralmente “meccanismo di esperti sui diritti dei Popoli indigeni”, istituito dallo Human Rights Council, l’organismo principale per i Diritti Umani dell'ONU, è un corpo sussidiario che costituisce un altro prezioso strumento per la protezione degli Indigenous Peoples.
Questo gruppo di lavoro è in pratica una commissione di esperti formata da rappresentanti indigeni e dai loro delegati, che si riunisce ogni anno a Ginevra con lo scopo di studiare, indagare e discutere sui diritti dei Popoli indigeni, suggerendo proposte che dovranno essere poi approvate dal Consiglio. Rappresenta un ambito dove verificare e rendere effettiva l’applicazione della Carta dei Diritti. A questa commissione partecipano rappresentanti di tutte le Nazioni indigene, rappresentanti dei governi, NGOs e enti accademici.
A seguito dei passi effettuati dalle Nazioni Unite per assicurare ai Popoli naturali un posto nella comunità internazionale, oggi i Nativi giocano anch’essi un ruolo sul palcoscenico mondiale, e per via dell’apporto che possono dare in termini di conoscenze ancestrali, si intravede un futuro migliore per tutta l’umanità.

mercoledì 6 luglio 2011

Il mondo si ferma per festeggiare il Sole

Cuzco, Perù, 21 giugno. Mentre il sole illumina in un vortice di luci l’intera vallata, il Sacerdote Inca con la sua veste coloratissima inizia la cerimonia dedicata al Sole nel massimo tempio dell’impero Inca, il Coricancha. Entra in scena il corteo formato da quattro gruppi di Inca, che rappresentano gli abitanti delle quattro nazioni, che si alternano nel portare il Sacerdote Inca sulla sua lettiga. Poi si procede al rito e il Sacerdote invoca suo padre, il dio Sole. Le 50 mila persone che affollano le rovine di Sacsayhuaman per assistere alla cerimonia Inca "Inti Raymi" celebrano così l'inizio della nuova stagione.
Stonehenge, Inghilterra, 21 giugno. Il Gran Druido del Druid Order di Londra eleva la coppa del Graal all’interno del cerchio dei druidi con le vesti bianche, per offrirla al Sole. Intorno a loro, 18.000 persone entusiaste e festose, tra turisti, seguaci, hippies e curiosi, assistevano alla celebrazione officiata da quella che nel regno Unito è oggi religione ufficialmente riconosciuta.
Più o meno nelle stesse ore, in tutta la Scandinavia si festeggia il Midsummer, la celebrazione per il Solstizio d’Estate che coinvolge migliaia di persone in tutti i paesi nordici, uniti attorno a grandi falò collettivi e cortei con le torce per le città che si protraggono per tutta la notte.
New York, Central Park, 21 giugno, ore 5 del mattino. Yoko Ono dà appuntamento al pubblico a Columbus Circle per una meditazione con la musica, a cui tutti partecipano con uno strumento o semplicemente con la propria voce, per accompagnare il canto degli uccelli.
News York, Times Square, ore 7 del mattino. Il traffico si ferma e per tutta la giornata la piazza più caotica della città si trasforma in una immensa distesa di tappettini colorati dove centinaia di persone in un silenzio irreale si fermano a fare meditazione yoga per salutare il sole.
Base Concordia, Antartide, 21 giugno. Inizia la settimana di festa per il Mid Winter. Tutte le basi si fermano per festeggiare e si scambino auguri via radio o via e-mail.
Bretagna, notte del 23 giugno. In cima alle colline vengono accesi falò e subito dopo altri falò si accendono in tutte le vallate.
Dreamland, Piemonte. Nel grande cerchio di pietre le tre torce di un candeliere a tre braccia fatto di rami di betulla vengono accese secondo l’antica formula druidica: Shali, Atabi, Sharka. Pace, Libertà, Conoscenza.
Nello stesso periodo, in molti paesi italiani ed europei si celebra la festa di San Giovanni coincidente con il periodo del solstizio d’estate. La ricorrenza è celebrata con una serie di eventi che si susseguono giorno e notte e durano anche alcuni giorni. Vengono anche accesi grandi falò, i cosiddetti “fuochi di San Giovanni”.
Sempre in questo periodo, grandi festeggiamenti per san Giovanni si celebrano anche nel Quebec, in Croazia, in Brasile, in Bulgaria.
Potremmo continuare all’infinito.
Ma perchè festeggiare con tali celebrazioni, tanto sentite e partecipate, un momento dell’anno che oggi, nell’era di internet e della globalizzazione, non ha apparente significato?
In astronomia, il solstizio è definito l’istante ed il punto in cui il Sole si trova alla massima distanza dall’equatore celeste: è massima anche la differenza tra la durata del giorno, con il massimo di ore di luce (solstizio d’estate) e quella della notte, con il minimo di ore di luce (solstizio d’inverno).
Quindi, essendo il Solstizio d’Estate il giorno più lungo dell’anno, si potrebbe pensare che si festeggi il Sole per via della massima durata della luce diurna in quel giorno. Ma a parte il fatto che questo poteva valere in un’epoca in cui non era ancora stata scoperta la luce elettrica, questa spiegazione non regge se si pensa che il suo opposto, cioè il Solstizio d’Inverno, è altrettanto celebrato, se non addirittura anche di più.
Il Solstizio d’Estate è celebrato da tempi remoti, ed è chiaramente una celebrazione pagana.
I Celti celebravano i Solstizi nei grandi cerchi di pietre, dove i druidi officiavano le loro cerimonie. Momenti di incontro e di silenzio. Nelle tradizioni celtiche, così come i quelle di tutti i Popoli nativi, la Natura era una grande maestra, il massimo riferimento spirituale. Le manifestazioni della Natura, in tutti i suoi aspetti sia fisici che immateriali, erano pertanto un continuo insegnamento per gli uomini. Non c’è da stupirsi che popoli che si rivolgevano alla Natura come unico tramite con il trascendente celebrassero i momenti salienti dei moti dell’astro da cui dipendiamo e la relazione con il pianeta su cui poggiamo i piedi. La consapevolezza di essere figli di Madre Terra e la sensazione di vivere tra terra e cielo, probabilmente accompagnava costantemente i nostri antichi progenitori, così come accompagna tuttora i membri delle società dei Popoli naturali.
Non c’è bisogno di essere degli astronomi per accorgersi che viviamo su una palla che rotea in uno spazio infinito, e di avere sopra la nostra testa un tappeto di stelle e galassie. Ma nella società maggioritaria tutto questo non conta: gli orizzonti percettivi si sono ristretti nei limiti della quotidianità che impone ritmi e valori; tutto il resto è astrazione.
Se anticamente poteva avere senso festeggiare i Solstizi, quando ancora le grandi religioni non avevano soppiantato i culti precedenti basati sul rapporto con la Natura, c’è da chiedersi che senso ha festeggiarli oggi.
Eppure nel periodo intorno al 21 giugno tutto il mondo si ferma per celebrare il Sole. Così come nel periodo che sta attorno al 21 dicembre in tutto il mondo si festeggia il Solstizio d’Inverno.
Le antiche tradizioni sono dure a morire, e la religione deve adeguarsi. Corre ai ripari trasformando il Solstizio d’Estate nella festa di San Giovanni; o il Solstizio d’Inverno nella nascita di Cristo.
Oppure organizzando celebrazioni religiose in occasione dei Solstizi. Come avviene a Calimera, in provincia di Lecce, dove il 21 giugno si celebra una festa di evidenti origini pagane, in cui tutto il paese si addobba con lanterne di carta che riproducono gli astri, i soli e i pianeti, per accompagnare la processione. Uno strano pellegrinaggio che ha per meta la cappella di San Vito, dove proprio davanti all’altare è posato un grande masso forato, un mên-an-tol preistorico, che i pellegrini a turno attraversano per compiere un rito di purificazione.
Inca, Yoko Ono, duidi, leccesi... tutti uniti nel festeggiare il Sole.