domenica 27 ottobre 2013

Il “Native” dentro di noi


Quando io e i miei compagni del LabGraal abbiamo dato il nome “Native” all’ultimo CD, abbiamo pensato che era il termine che meglio sintetizzava tutte le intenzioni contenute nell’album.
Non dico che siamo stati subito tutti d’accordo: come sempre accade nel nostro gruppo, prima di arrivare a una decisione unanime si deve passare necessariamente da una simpatica discussione, civile e amichevole, in cui si arriva a rinfacciarsi cose di anche vent’anni prima, tutti contro tutti,  spesso dimenticando come è iniziato il confronto e soprattutto l’oggetto dello stesso. Succede per la scelta di un ristorante o di un film, figuriamoci per il titolo dell’ultimo album. Andrea, che evidentemente se ne intende, sostiene che per produrre qualcosa di interessante, occorre prima di tutto una bella litigata.
Anyway, superati tutti gli ostacoli, alla  fine tutti hanno concordato che “Native” era il titolo più adatto (per stanchezza, forse?)
Non era facile sintetizzare in un titolo tutti i messaggi contenuti nei brani del CD. Volevamo esprimere l’esperienza che ci ha guidati nel produrlo, un’esperienza che è il frutto di anni di contatti con le culture e le terre sacre dei Nativi di ogni continente, ma anche il frutto di un percorso mistico all’interno di se stessi e alla scoperta di quella storia di cui siamo stati privati. La storia di noi Nativi europei.
“Native” è il cuore antico che c’è in ognuno di noi, o meglio, in ogni individuo che non si accontenta dell’omologazione a cui è stato sottoposto fin dalla nascita e che cerca di essere libero. Perchè evidentemente un po’ libero lo è già dentro di sé.
“Native” è l’uomo che sotto qualsiasi latitudine sente di appartenere alla Terra, sente che la sua vera madre e maestra è unicamente la Natura, e non ci può e non ci deve essere nessun guru, profeta o ideologia che lo privi di questo rapporto diretto e magico.
“Native” è l’indigeno che in ogni continente ha resistito alla potenza della sopraffazione, che non si è lasciato assimilare da una qualsiasi religione, che non ha creduto alle menzogne riguardo al suo passato e alla sua storia.
“Native” è un inno alla libertà. E’ un canto di gioia. Un tributo alla vera musica celtica, che è musica tribale e non quella pappetta di maniera che a volte ci viene propinata come “celtica”.
O almeno, questa era la nostra intenzione nel produrlo. Se siamo riusciti nell’intento di trasmetterla, lo sapremo nel tempo.

“I walk and I dance
Loved by the Sun
Guided by the moon
I need nothing more”

(Here and Now)

mercoledì 16 ottobre 2013

Where do we come from? Where are we going? What are we?


Where do we come from? Where are we going? What are we? Sono le domande che ti accolgono appena sbarchi al CERN di Ginevra. E’ proprio il caso di dire “sbarchi”, perchè ti sembra di approdare su un nuovo pianeta. Un pianeta dove la Scienza, con la S maiuscola, è al servizio dell’uomo, di qualsiasi uomo. Non un argomento per una chiusa élite ma uno strumento per capire chi siamo, dove siamo, e soprattutto di che cosa siamo fatti.
L’universo del CERN è variegato quanto lo può essere un pianeta che vive di Scienza e che ha fatto della ricerca la sua ragione di esistere. Tutti gli scienziati che lavorano al CERN sembrano investiti di una sacra missione: quella di capire qualcosa di più di questo strano meccanismo che permette all’Universo, compresi noi stessi, di esistere. Ma non solo: il loro compito è anche quello di non tenere per sé le scoperte raggiunte, ma di divulgarle il più possibile. Ecco perchè ci troviamo così a nostro agio quando poniamo i “domandoni” più complicati ai ricercatori del CERN. Loro sono abituati a rispondere, volentieri mettono a disposizione le loro conoscenze e non si tirano indietro quando ai “domandoni” non c’è ancora una risposta.
L’anno scorso, in occasione di una giornata passata al CERN con gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, ho ascoltato Samuel Ting, Premio Nobel per la Fisica, affermare che nonostante le grandi scoperte della Scienza, in realtà siamo calati dentro un grande mistero. Tutto ciò che ci circonda è un mistero, noi stessi lo siamo.
Quest’anno ho avuto la fortuna di scendere nel cuore pulsante del CERN, calata a 100 metri di profondità, dentro il famoso acceleratore di particelle LHC, il più grande del mondo, e il non meno importante esperimento ATLAS. L’acceleratore e i suoi rivelatori erano fermi per la consueta manutenzione, e per l’occasione il CERN ha organizzato un evento per la stampa e il pubblico: il CERN Open Days. Shan Newspaper era tra i media invitati, e così ho potuto assistere a un evento unico, affascinante ed emozionante.
Ho chiesto al nostro amico Valerio Grassi, ricercatore del CERN e co-scopritore del bosone di Higgs, quale sarà il prossimo traguardo dopo la scoperta del famoso bosone. Mi ha risposto che il regalo più grande sarebbe scoprire  qualcosa di totalmente inaspettato e non teorizzato.
Questo è quello che si respira al CERN: un modo di fare ricerca senza pregiudizi, pronti ad andare oltre i traguardi acquisiti e affascinati dall’idea che l’universo può riservarci delle sconvolgenti sorprese.