Come ogni anno mi
sono “tuffata” in un mondo invisibile, l’ "isola che non c’è”, e come sempre,
tornando a casa, mi sono chiesta come sia possibile che questa realtà venga
trascurata, nascosta, non considerata.
Partecipavo con Giancarlo
alla sessione annuale dell’Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples
dell’ONU di Ginevra, eravamo lì in veste di delegati di sei comunità indigene di tutto il pianeta per difendere le
loro tradizioni e i loro luoghi sacri. Un impegno preso molti anni fa,
riconoscendoci nei loro diritti e nella consapevolezza di una comune identità.
Con noi c’erano i nostri compagni di avventura, Luca e Gianluca, staff ormai
consolidato che vive con noi le stesse passioni, non solo musicali.
Una full immersion
tra le comunità native ha il potere di risvegliare la speranza che il mondo
possa davvero cambiare. Assistere alle discussioni su come rendere pratica la
Carta dei Diritti, quei diritti fondamentali che dovrebbero essere il minimo
standard riconosciuto a chiunque, ascoltare le esperienze personali di chi è
stato sottoposto a violenze e abusi, nemmeno tanto tempo fa, e nello stesso
tempo vedere con quanta dignità, consapevolezza e armonia tutti questi problemi
vengono affrontati... è decisamente un’esperienza non comune.
Così come è
un’esperienza non comune vedere in tutte queste comunità, così diverse, così
lontane per luogo geografico e appartenenza culturale, spesso con lingue
incomprensibili, una sintonia che permette di intendersi sulle cose fondamentali,
come il rapporto con Madre Terra e il riferimento spirituale nella Natura.


Eppure, nonostante quello che i Nativi hanno subìto dai
colonizzatori, in loro traspare un’armonia, una pace invidiabile, ma anche una
determinazione nel far valere i propri diritti.
E’ in atto un processo di “riconciliazione” che ha lo scopo
di aprire un dialogo tra i governi e i Popoli indigeni, facendo finalmente
emergere le responsabilità degli Stati circa i soprusi del passato allo scopo
di trovare una via di uscita da posizioni apparentemente inconciliabili, e
soprattutto di intraprendere un dialogo. Ora i governi chiedono scusa ai
Nativi, come l’Australia che ha instaurato il “Sorry Day”, ma questo agli
indigeni ovviamente non è sufficiente. La Truth and Reconciliation Commission
del Canada stimola gli aborigeni a farsi avanti, a testimoniare le violenze
subite, a uscire allo scoperto. Il suo motto è: “La verità sulle nostre comuni
esperienze aiuterà a liberare i nostri spiriti e aprirà la via per la
riconciliazione.”

Eppure il genocidio dei Popoli indigeni è considerato
evidentemente un fatto trascurabile dai libri di storia e dai mass media. Su Wikipedia alla voce
"Genocidio" troviamo le stragi compiute dai nazisti in Europa e dai comunisti in varie parti del mondo. Nessun accenno allo sterminio degli Nativi
americani, 97% della popolazione dal 1500 alla fine del 1800. Nessu accenno al
genocidio canadese né a quello degli aborigeni australiani e neo-zelandesi ad
opera degli inglesi che dal 1700 al 1928 ha decimato oltre il 90% della
popolazione. Evidentemente, questi sono genocidi di serie B. Nemmeno a questo
riconoscimento hanno diritti i Popoli indigeni.
I danni della Discovery Doctrine non sono evidenti solo nei
Nativi di altri continenti: si sono manifestati anche in Europa. Le “prove generali”
di genocidio delle culture autoctone sono avvenute molti secoli prima delle
colonizzazioni degli altri continenti. E sono state fatte proprio in Europa, ai
danni dei cosiddetti “pagani” che popolavano i nostri territori. I popoli
autoctoni dell’Europa, i Nativi Europei, sono stati privati della loro cultura
e delle loro tradizioni. Culture pacifiche che sono state colonizzate,
assorbite e distrutte prima dall’Impero romano e poi dal Cristianesimo. Queste
culture sono state per la maggior parte distrutte, ma non del tutto. Molte
comunità autoctone continuano discretamente a portare avanti le loro
tradizioni, ancorché nel silenzio, nell’intento di preservarle.
La sessione si è conclusa con un
rito Nativo americano molto toccante, poi è stata la volta degli abbracci e
degli scambi di contatti, come sempre. Come sempre, ogni delegato sapeva che
sarebbe tornato alla sua Comunità arricchito, colmo di esperienze, di notizie e
informazioni utili.
C’è sempre una vena di malinconia
nel lasciare un ambito che è stata occasione di incontri planetari, tra
comunità che, senza quell’occasione, probabilmente non avrebbero neppure saputo
dell’esistenza gli uni degli altri. Eppure ogni volta la speranza è più forte e
diventa sempre più concreta. I Popoli Nativi rappresentano l’unica vera
speranza in questo mondo malato, in questa umanità divisa da guerre di
religione. La speranza di un mondo migliore, basato sull’armonia, sulla
libertà, sulla conoscenza. Nel riferimento all’unica vera nostra maestra: Madre
Terra.